Nell'immaginario collettivo, la figura della suocera è sinonimo di tensioni in famiglia e domeniche passate a litigare, ma da oggi i giudici della Cassazione segnano un punto a favore di generi e nuore. Chiamare "vipera" la propria suocera può non essere reato, sentenzia la Suprema Corte. Michele D.A., 45 anni, siciliano, era stato condannato in primo e in secondo grado per aver apostrofato in questo modo la propria suocera, ma il ricorso in Cassazione l'ha visto assolvere. Le ingiurie - ripetute per ben tre volte - sarebbero solo "dichiarazioni di insofferenza", secondo il Palazzaccio. I giudici della Suprema Corte hanno annullato la sentenza del tribunale di Nicosia (Enna), con cui l'uomo veniva condannato per aver raccontato ai poliziotti come la suocera fosse "scesa" nel suo appartamento "come una vipera, come una vipera, come una vipera!" La Corte ha accolto la spiegazione degli avvocati secondo cui il termine "vipera" non era stato rivolto direttamente alla donna, ma solo usato come metafora per descrivere la situazione.
La Cassazione ha sottolineato come "l'espressione è stata pronunciata dal ricorrente in un contesto di rapporti tesi", con "acredine personale a causa di fatti pregressi, che hanno portato a questioni giudiziarie", legati a "un quadro di conflittualità derivante dalla crisi del rapporto" dell'uomo con la figlia della parte offesa". D'ora in poi, grazie alla Cassazione, tutti coloro che vorranno sfogarsi contro la propria suocera potranno invocare un precedente inoppugnabile e parlare più liberamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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