Per i giudici del primo e secondo grado aveva diffamato l'ex ministro Kyenge ma ora Roberto Calderoli si è visto annullare tutte le condanne. Così ha deciso la Cassazione in merito al vicepresidente del Senato, accusato di diffamazione aggravata dall'odio razziale per aver definito “orango“ l'ex ministra dell'Integrazione Cecile Kyenge. I fatti contestati risalivano al 13 luglio del 2013 quando, durante la festa della Lega Nord a Treviglio, Calderoli aveva esternato. Adesso il processo avviato dopo il fascicolo aperto dalla Procura di Bergamo dovrà ripartire da zero e gli atti sono stati trasmessi al Tribunale di Bergamo. La prescrizione però è oramai vicina tanto che la difesa di Calderoli ha chiesto alla Suprema Corte di dichiararla.
La Cassazione annulla condanne
Gli “ermellini“ con la sentenza 21829 della Quinta sezione penale relativa all'udienza svoltasi lo scorso 17 maggio hanno deciso che il decorso della prescrizione pari a sette anni e sei mesi dalla data del reato non è ancora maturato in quanto il procedimento ha avuto “una sospensione del termine per 1.071 giorni“, necessario anche per il richiesto intervento della Consulta, spesso tirata in ballo quando i reati sono addebitati a parlamentari. Secondo la Cassazione “in maniera immotivata e senza approfondire il caso, il Tribunale di Bergamo nel corso del processo di primo grado, durante l'udienza del 14 gennaio 2019, non aveva riconosciuto il legittimo impedimento a comparire di Calderoli che doveva sottoporsi a un intervento chirurgico e aveva respinto la richiesta di rinvio avanzata dai suoi legali“. “I giudici di merito - afferma la Cassazione - senza alcun approfondimento di carattere tecnico, hanno contraddetto la valutazione di un medico (che risulta essere direttore del Dipartimento di chirurgia oncologica dell'Istituto oncologico veneto) che affermava l'indifferibilità di un delicato intervento relativo a una grave patologia“. Inoltre, prosegue il verdetto, il Tribunale di Bergamo - con un “errore“ non corretto nemmeno dai giudici d' appello - “non ha spiegato in base a quali elementi era possibile sostenere che il delicato intervento potesse essere riprogrammato a distanza di uno o due giorni: affermazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati concreti e massime di esperienza che consentivano di ritenere che il differimento fosse compatibile con i tempi necessari per gli esami preparatori, con gli impegni della equipe medica e con le liste di attesa delle strutture sanitarie“.
Si tornerà in aula a Bergamo
Conseguentemente per la Cassazione, “devono essere annullate“ tanto la sentenza di primo grado del 14 gennaio 2019 (che aveva condannato Calderoli a 18 mesi di reclusione, pena sospesa) che quella emessa dalla Corte di Appello di Brescia il 21 ottobre 2020 che aveva ridotto la pena. Il collegio presieduto da Rosella Catena, relatore Pierangeolo Cirullo, ha quindi rimandato il fascicolo a Bergamo.
Non è stata invece esaminata dalla Cassazione la tesi della difesa di Calderoli che chiedeva l'assoluzione dell'esponente leghista sostenendo che “la metafora animalesca utilizzata nel corso del comizio non è diffamatoria essendo tali tipi di metafora, oramai da tempo entrati nel costume sociale, non più percepiti come diffamatoti, in quanto anche in ambito politico risultano piuttosto diffusi“.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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