Nel loro "curriculum" ci sono diversi procedimenti per lesioni personali e porto d'armi. I precedenti dei fratelli Bianchi, accusati di aver ucciso Willy Monteiro Duarte, il 21enne morto a Colleferro, tra sabato 5 e domenica 6 settembre, erano già preoccupanti prima della tragedia. Nell'ordinanza di convalida dell'arresto, emessa dal gip del tribunale di Velletri, vengono indicati, a carico di Gabriele Bianchi, "tre procedimenti per lesioni personali e porto d'armi" ed altri "cinque procedimenti, tutti per lesioni personali" a carico del fratello Marco. Ma perché, allora, non sono stati fermati prima? Perché non erano già in carcere? "Le misure cautelari non possono essere applicate sempre, a qualsiasi indagato e per qualsiasi reato", ha spiegato a ilGiornale.it l'avvocato di Como Erika Frigerio. E quello di Colleferro non è l'unico caso in cui i presunti assassini, pur avendo precedenti, erano liberi di agire ancora.
"Ecco perché non erano in carcere"
Innanzi tutto, bisogna tener presente che "il carcere è considerata la misura ultima da applicare", sottolinea l'avvocato. Infatti, come recita l'articolo 275 del Codice di Procedura Penale, "la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate". Inoltre, per poter applicare questa misura, è necessario che il reato per cui la persona è accusata preveda una pena di reclusione "non inferiore nel massimo a cinque anni". Non solo. Quando il giudice decide per il carcere, infatti, deve indicare le ragioni specifiche che lo hanno spinto a propendere per quella specifica misura cautelare. "Bisogna capire per quali reati erano stati indagati precedentemente - spiega l'avvocato Frigerio, riferendosi alle persone con precedenti - se erano previste pene basse e se non c'erano esigenze cautelari". Nel caso dei fratelli Bianchi, per esempio, accusati di lesioni personali, non si erano verificate le condizioni necessarie per applicare tali misure: "Per le lesioni personali - precisa l'avvocato Frigerio - se la malattia che si provoca è fino a 40 giorni, la pena è nel massimo di 3 anni, perciò non è prevista la custodia cautelare". La custodia in carcere, inoltre, "dipende, oltre che dal tipo di delitto, anche dalla personalità dell'imputato, che potrebbe essere sottoposto ai domiciliari o, in casi particolari, alla custodia in case di cura".
Le misure cautelari
Ma non esiste solo il carcere. Ci sono anche altre misure cautelari coercitive che possono essere applicate, quando il giudice lo ritiene opportuno e quando si procede per alcuni tipi di reati, che prevedono la pena dell'ergastolo o della reclusione per più di tre anni. Si tratta, per esempio, degli arresti domiciliari, della presentazione alla polizia giudiziaria, del divieto o obbligo di dimora e divieto di avvicinamento. E allora perché i presunti killer non erano stati sottoposti a queste altre misure cautelari? Perché anche per l'applicazione di queste misure sono previste particolari condizioni, regolate dal Codice di Procedura Penale. Non solo. "È possibile anche che le misure fossero state applicate - spiega l'avvocato Frigerio - ma fossero scadute al momento del fatto". Infatti, le misure cautelari hanno un termine: "Se il reato prevede la reclusione sotto i 6 anni, dopo 3 mesi la misura decade, se non si procede, ma c'è anche una scadenza generale, pari a due anni".
Sul tema è intervenuto anche Valerio De Gioia, giudice del tribunale di Roma che, parlando ai microfoni della trasmissione L'Italia s'è desta su Radio Cusano Campus, ha precisato: "La misura cautelare non viene applicata per qualsiasi tipologia di reato. Per i reati meno importanti il giudice non può dare misure cautelari". E, relativamente ai fratelli Bianchi, De Gioia ha spiegato: "Se dovesse essere vero che ci sono dei procedimenti per rissa e anche spaccio, non sono ipotesi che possono portare a misure cautelari, anche perché il giudice deve accertare l’esistenza di esigenze cautelari. Questo spiega il motivo per cui non ci sono state misure cautelari".
Quei casi di denunce a piede libero
La morte di Willy è l'ultima di una lunga serie di omicidi, in cui il presunto assassino aveva precedenti penali. L'ultimo, in ordine di tempo, è quello di don Roberto Malgesini, il prete 51enne ucciso a coltellate a Como lo scorso 15 settembre. A confessare l'omicidio un 53enne di origini tunisine che, secondo quanto riporta AdnKronos, avrebbe precedenti per maltrattamenti, resistenza a pubblico ufficiale, furto e rapina, oltre a due richieste di rimpatrio. Andando più a ritroso nel tempo, torna alla mente l'omicidio di Luca Sacchi, il personal trainer 24enne ucciso a Roma il 24 ottobre del 2019, per il quale erano stati fermati Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, entrambi 21 anni e con precedenti penali, come riferiva Lapresse: uno, infatti, era stato denunciato per aggressione, mentre l'altro per spaccio.
Già denunciato diverse volte per maltrattamenti anche l'aggressore di Stefano Leo, il giovane ucciso sul lungo Po Machiavelli di Torino il 23 febbraio 2019. In questo caso, in realtà, sembra che Said Mechaquat, 27enne di origine marocchina che aveva confessato l'omicidio, avesse già una condanna a un anno e due mesi, ma non fosse ancora stato condotto in carcere. A volte, nemmeno le misure cautelari sono una garanzia. È il caso di Zdenka Krejcikova, 41enne di nazionalità ceca, uccisa a coltellate lo scorso febbraio a Ossi, vicino a Sassari.
Per l'omicidio era stato fermato l'ex compagno, 45enne, che era stato sottoposto al divieto di avvicinamento, dopo una denuncia per maltrattamenti. In questo caso, nemmeno la misura imposta era stata in grado di fermare la furia omicida.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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