La Corte d'Assise di Palermo ha depositato nella mattinata di venerdì le trascrizioni del verbale della deposizione di Napolitano al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il Presidente della Repubblica ha testimoniato in merito ai possibili accordi tra le istituzioni e la Cosa Nostra e sugli attentati dinamitardi dell'estate del 1993 a Roma e Milano. La deposizione è stata messa a disposizione su internet dal Quirinale. "Vorrei pregare la Corte e voi tutti - ha esordito Napolitano nella deposizione - di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del Capo dello Stato così come sono sancite dalla Costituzione Repubblicana. Dall'altra mi sforzo, faccio il massimo sforzo per dare nello stesso tempo il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo anche all'amministrazione della Giustizia".
Per quel che riguarda il ricatto mafioso Giorgio napolitano ha affermato: "La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del paese e naturalmente era ed è materia opinabile". Nel documento si legge che il pubblico ministero Nino Di Matteo ha chiesto al Presidente della Repubblica, ai tempi presidente della Camera, di specificare quanto detto. E la risposta di Napolitano è chiara: "Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema". "Probabilmente - ha poi aggiunto - presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato, delle forze dello Stato".
La strage di via d'Amelio, per il Presidente "rappresentò un colpo di acceleratore decisivo" per convertire il prima possibile in legge il decreto sul carcere duro ai mafiosi, anche se "su provvedimenti o su decisioni di qualsiasi organo parlamentare non sono mai intervenuto interferendo nella maturazione delle posizioni di quell'organismo parlamentare".
Per quel che riguarda il rapporto con l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e sui dibattiti che si sono venuti a creare in quello che poteva essere definito "colpo di Stato", Napolitano ha affermato che con Scalfaro "avevamo un rapporto abbastanza intenso, un po' sempre in coppia, e il collega Spadolini, in alcuni momenti difficili o significativi fummo anche invitati dal Presidente Scalfaro a dare notizia di una riunione di questa sorta di triade istituzionale, e quindi di sicuro si parlò anche di questo, ma il tenore di quella conversazione, o meglio i contenuti specifici di quella conversazione del 93 non li potrei ricordare". Quindi, ha chiesto poi Di Matteo, si susseguì una sorta di "fibrillazione istituzionale molto rilevante?". Napolitano ha risposto che "quando il Presidente del Consiglio, il Capo del Governo dice abbiamo rischiato un Colpo di Stato, se non c'è allora fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo".
La frase di "Pico della Mirandola" è stata pronunciata in merito ad una domanda, fatta dal pubblico ministero Di Matteo, su un appunto inviato da Gianni De Gennaro al ministro dell'Interno Nicola Mancino, documento che fu poi trasmesso al presidente della commissione Antimafia Luciano Violante. In questo appunto si evidenziava la causale collegata alla reazione della mafia al regime penitenziario speciale del 41 bis. "Mi permetto di osservare - ha risposto il Presidente - che ci stiamo allontanando di molti chilometri dal luogo, diciamo, della originaria sollecitazione di una mia testimonianza. E poi davvero un po' supponendo che io abbia una memoria che farebbe impallidire Pico della Mirandola ricordare ogni elemento, se mi fu data quella nota, come reagirono tizio e caio, francamente non credo di poter rispondere".
Mentre per quel che riguarda il suo collaboratore Loris D'Ambrosio, che aveva scritto di "indicibili accordi", Napolitanto racconta che era "animato da spirito di verità" ed "eravamo una squadra di lavoro". Racconta di non aver mai conosciuto D'Ambrosio "fino al 1996" che prima "non ho mai avuto occasione di incontrarlo, di conoscere, né per la verità ho avuto occasione di sentirne parlare, sia pure attraverso persone che lo conoscessero bene e che conoscessero bene me". Quando poi il pubblico ministero Vittorio teresi si sofferma sugli "indicibili accordi" scritti sulla lettera che il collaboratore inviò al Presidente della Repubblica, Napolitano ha risposto: "Mi aveva trasmesso un senso di grande ansietà e anche un po' di insofferenza per quello che era accaduto con la pubblicazione delle intercettazioni di telefonate tra lui stesso e il Senatore Mancino, insofferenza che poi espresse più largamente nella lettera. Non mi preannunciò né la lettera, né le dimissioni". Leggere quella lettera è stato un "un fulmine a ciel sereno, ne rimasi molto colpito, ci riflettei e il giorno dopo, il giorno dopo subito lo pregai di venire nel mio ufficio, avendo già redatto una risposta che gli consegnai".
Inoltre Napolitano ha affermato che i contenuti della lettera e le espressioni "così drammatiche, così dure, siano lo specchio però di uno stato d'animo veramente esasperato. Questa è una lettera che poteva concludersi con le dimissioni se le avessi accettate e poteva concludersi forse anche drammaticamente, dato il grado di enorme tensione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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