Guai a dire "bimbominkia". Per la Cassazione è diffamazione aggravata

La Cassazione ha stabilito che l'uso della parola bimbominkia rappresenta un reato: ecco quale e qual è stata la vicenda che ha dato origine alla sentenza della Corte

Guai a dire "bimbominkia". Per la Cassazione è diffamazione aggravata

È un termine che fa sorridere, che viene usato con leggerezza dai giovanissimi ma è entrato a far parte anche del linguaggio di persone più adulte quando vogliono prendersi gioco di qualcuno. Da adesso in poi, però, occhio a pronunciare o scrivere bimbominkia, si rischia di commettere un reato. Infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito che rivolgersi così a qualcuno diventa "diffamazione aggravata". Come spiega Laleggepertutti, queto nuovo reato viene commesso da colui che su Facebook "offende l'onore e il decoro di un'altra persona pubblicando un post gravemente lesivo della reputazione della medesima, visibile a tutti gli utenti del social network".

La vicenda

L'iter della vicenda riguarda una querela di Enrico Rizzi, esponente del partito animalista, che su una pagina Facebook era stato appellato in questo modo da una persona amica dell'ex presidente del consiglio regionale del Trentino, Diego Moltrer. Come pubblicato dallo stesso Rizzi sul proprio profilo, la Suprema Corte ha stabilitp che "bimbominkia" è una diffamazione, specificando il termine con "persona con un quoziente intellettivo limitato". Sempre sul social, c'è un post con tutta la soddisfazione dell'avvocato di Rizzi, Alessio Cugini Borgese, che ha espresso la sua gioia per la conclusione della vicenda. "Si, oggi abbiamo scritto, nel nostro piccolo, una pagina di storia. È una bella vittoria perché sa di giustizia, e se lo riconosce la Cassazione allora non eravamo nel torto".

Bimbominkia secondo il vocabolario

Indipendentemente dalla sentenza, questa parola è entrata a far parte anche del dizionario Treccani, dove si legge che "nel gergo della Rete", si usa chiamare in questo modo un "giovane utente dei siti di relazione sociale che si caratterizza, spesso in un quadro di precaria competenza linguistica e scarso spessore culturale, per un uso marcato di elementi tipici della scrittura enfatica, espressiva e ludica". Nella definizione che spiega il neologismo, appunto la nuova parola, viene spiegato che l'impatto sarà molto forte grazie alla presenza della lettera "K", che cattura iò sostantivo infantile abbinato alla parolaccia, cosicché "la parola è difficile da dimenticare". Riportando un frammento di un articolo di Panorama del 2012, la Treccani spiega che "a dispetto dell'apparente leggerezza, l'invenzione linguistica accende i riflettori sul più violento scontro generazionale registrato nel social network fra ragazzini e adulti, questi ultimi indignati per l'invasione degli under 20 su Twitter, fino a ieri riservato a un pubblico pensante".

Le pene previste

L'articolo 595 del Codice penale spiega che se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, come pena è prevista una reclusione fino a due anni, "ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro".

Se l'offesa, invece, è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, quindi in atto pubblico, "la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro". Infine, se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo, giudiziario oppure a una sua rappresentanza o ad una Autorità costituita in collegio, le pene saranno inasprite.

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