Poco tempo fa, su queste stesse pagine, avevo sollecitato l'esigenza di approfondire, da parte del Parlamento, i contorni dello scandalo sul dossieraggio che vede coinvolto Pasquale Striano, finanziare, e Antonio Laudati, magistrato, entrambi in servizio, all'epoca dei fatti, all'Antimafia.
Le nuove carte che arrivano da Perugia, Procura che indaga penalmente su questa vicenda, non fanno che aumentare tale esigenza di chiarezza. La testimonianza resa da Giovanni Russo, già procuratore aggiunto della stessa Antimafia, ha rivelato infatti che, a cavallo degli anni 2019/2020, lui stesso avrebbe segnalato ai vertici della istituzione giudiziaria alcune anomalie relative al lavoro dell'ufficiale delle fiamme gialle. Tale allarme sarebbe caduto nel vuoto. La novità non è cosa da poco, perché sulla poltrona di capo dell'Antimafia sedeva allora Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare Cinque Stelle, il partito che, oggettivamente, ha maggiormente beneficiato, negli stessi anni, di quella offensiva populista tesa a delegittimare una intera classe politica, grazie anche, non solo, a campagne stampa fondate sulle indagini improprie condotte in varie banche dati da Striano, Laudati e magari non solo da loro.
Paradosso dei paradossi, oggi lo stesso De Raho è vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia che si sta occupando di queste vicende. Alla faccia del conflitto di interessi, caro ai grillini, sempre che oggi possano chiamarsi ancora così!
Ora, se è evidente che a fare chiarezza dal punto di vista penale non può che essere la Procura competente, cioè quella umbra, la ricostruzione dei contorni, degli scopi, delle relazioni politiche, dei legami oscuri che hanno ruotato intorno a questi fatti spetta a mio avviso al Parlamento, attraverso una apposita commissione di inchiesta come accadde ai tempi della loggia P2. E, in parte, spetta anche al governo, attraverso la possibile opera ispettiva del ministero guidato da Carlo Nordio. Dobbiamo tenere conto infatti che il tempo e il clima in cui questo ennesimo scandalo italiano si consuma è quello ben raccontato dal libro Il sistema scritto dal direttore di questo giornale intervistando l'ex capo del sindacato dei giudici Luca Palamara.
Un affresco in cui la volontà di certa magistratura di influire sulla politica, su una parte politica in particolare, appare chiaro e documentato dall'interno.
Le domande dunque dovrebbero sorgere spontanee: quei dossieraggi facevano parte di una strategia tesa a destabilizzare una classe dirigente, al pari dei processi a Salvini che proprio negli stessi anni venivano istruiti per la sua attività da ministro dell'Interno? Ancora, visto che De Raho, al termine del suo incarico da magistrato venne candidato come parlamentare dal Movimento Cinque Stelle, quando cominciarono i rapporti tra il giudice stesso e i vertici di quel partito? E, andando avanti, vi sono inchieste che ebbero origine da quei dossier spiattellati su alcuni giornali ed amplificati da altri organi di stampa fiancheggiatori di ogni movimento giustizialista del Paese?
Lo dico da protagonista, avendo vissuto le nefaste conseguenze di una inchiesta che scaturì, almeno in parte, da informazioni legate a dossier di Striano e fornite illegalmente alla stampa già prima del 2020. Segnalazioni di operazioni sospette di finanziamenti elettorali che, ritenute dagli stessi magistrati prive di valore penale, hanno tuttavia dato la possibilità di innescare un ciclo di intercettazioni durate un quadriennio. Non è l'unico caso. Vi è una similitudine con l'inchiesta che riguarda il dirigente sportivo Gabriele Gravina, sotto inchiesta e vittima di dossieraggio. E poi tutto ciò che ancora resta avvolto in una nebbia fitta che la sola inchiesta di Perugia non basterà a dissolvere.
Se fossimo dei pm potremmo dire che tre indizi fanno una prova. Qui gli indizi, accompagnati da un quadro di contesto coerente con i sospetti, sono ben più di tre. Vi è la certezza che mentre i documenti riservati venivano trafugati e invitati a giornalisti amici all'Antimafia regnava Cafiero De Raho. Oggi vi è anche il sospetto che il magistrato fosse stato messo al corrente, anche se lui smentisce. La certezza è che lo stesso magistrato fu candidato dal Movimento Cinque Stelle, proprio la forza politica che maggiormente ha beneficiato della destabilizzazione del sistema provocato dal circuito mediatico giudiziario alimentato proprio dai dossier.
Un meccanismo che per altro sarebbe forse proseguito se il ministro Crosetto non si fosse dato cura, meritoriamente, di presentare una denuncia relativa a dati sensibili che lo riguardavano pubblicati nero su bianco.
Ora c'è chi, audito in Parlamento, vorrebbe circoscrivere questo gigantesco verminaio a un rapporto tra bravi giornalisti e le proprie fonti. Vi è almeno il fondato sospetto che sia qualcosa di molto più eversivo e che i giornalisti fossero solo una ruota dell'ingranaggio, il terminale di un disegno di destabilizzazione che ha indebolito e talvolta travolto il sistema, a tutto vantaggio di chi occupava le piazze e lanciava anatemi contro una presunta casta, spiata illegalmente dall'interno e assediata dall'esterno.
D'altra parte una contiguità almeno culturale tra i movimenti politici giustizialisti e certa magistratura «militante» è continuata nel corso degli anni. Basti pensare alla candidatura di un altro celebre pubblico ministero, Roberto Scarpinato, nel 2022, sempre tra le fila del Movimento Cinque Stelle. Ascoltando alcuni suoi sermoni sui social, cosa che potete tranquillamente verificare, ben si coglie quello spirito complottista che lega insieme la borghesia del paese, la mafia, certa politica. Un mondo di corruzione ipotizzato come vasto e ramificato, quasi sempre ricostruito solo sulla base di suggestioni tali da giustificare l'opera di giudici militanti come piattaforma politica illusoriamente catartica di un intero paese.
Il tribunale di Perugia celebrerà i propri processi, se ci saranno. Il Parlamento e il governo hanno il dovere però di ricostruire, con i poteri che hanno, gli oscuri intrecci di questa vicenda, che parte nel recente passato, ma influenza pesantemente anche il nostro presente.
Non basta qualche audizione alla Commissione Antimafia, il tema deve diventare centrale nella agenda politica del Paese. Perché conoscere la storia ci aiuta a costruire il futuro e magari a non ripetere gli stessi errori di sottovalutazione commessi fino a ora.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.