E se avessimo sbagliato tutto? ​L'errore su chi vaccinare prima

La letalità si alza dai 60 anni in sù. Ma tra i 60 e i 79 anni il numero minore di vaccinazioni. Il caso Astrazeneca e le scelte da rivedere

E se avessimo sbagliato tutto? ​L'errore su chi vaccinare prima

L’errore più grave è stato quello di farsi guidare dall’emotività. L’altro il lasciare che le decisioni venissero prese con troppa fantasia delle Regioni. Infine in mezzo ci si è messa pure la questione Astrazeneca, che fino all’8 marzo non poteva essere somministrato oltre i 65 anni. La campagna vaccinale contro il coronavirus, prima impostata da Domenico Arcuri e poi riscritta dal generale Figliuolo, ha lasciato strascichi di polemiche. Non tanto, o non solo, per i casi plateali come l’immunizzazione del maestrino panchinaro Andrea Scanzi. Ma anche per quel dato che appare tanto incredibile quanto assurdo: in Italia sono più i 50enni vaccinati dei 70enni, nonostante l’età media dei decessi da un anno a questa parte sia di 79,1 anni.

Fa giustamente notare Giorgio Meletti su Domani che se sin da subito avessimo concentrato tutte le (poche) dosi di vaccino sulle categorie più fragili e più anziane, probabilmente oggi avremmo già abbattuto e non di poco la curva dei decessi. Certo, in parte è già così. Nel suo Dataroom Milena Gabanelli calcolava che la letalità negli over 90 è già passata dal 12,8% all’8,2% e quella degli anziani nella fascia 80-89 da 7,3% al 5,3%. Ma intanto i decessi non sono stati azzerati, nonostante le 8 milioni di fiale inoculate, e poi la letalità tra i 70enni è calata solo dal 2,8% al 2,7%. E un motivo c’è.

Ad oggi le Regioni hanno vaccinato 2,9 milioni di over 80, poco più della metà dei 4,4 milioni di cittadini con questa età. Nel frattempo, però, hanno festeggiato la puntura al braccio 500mila ventenni, 853mila trentenni, 1,1 milioni di 40enni e addirittura 1,4 milioni di 50enni. Molti di noi conoscono ricercatori che hanno ricevuto una dose, maestre fortunate, professori universitari graziati ed anche altri professionisti miracolati come avvocati e giornalisti: tutti pronti a dichiararsi “a rischio” e favoriti da Regioni (la Toscana è maestra in questo) pronte ad assecondarne le richieste. A rimetterci, alla fine, sono state le fasce più critiche: i cittadini tra i 60 e i 69 anni (900mila vaccini) e quelli tra 70 e 79 anni (appena 376mila). E pensare che la letalità inizia a salire sopra l’1% proprio una volta superati i 60 anni per poi diventare del 2,8 per i 70enni, 7,3% per gli 80enni e 12,8% per i 90enni. Più si è vecchi, più si muore. Facile. Eppure gli over 70, che hanno avuto fino ad ora l’87% dei decessi, hanno ricevuto solo il 40% delle dosi somministrate. Nel frattempo abbiamo rifilato 1,3 milioni di dosi a giovani lavoratori dei settori non sanitari, producendo peraltro un decremento di mortalità praticamente nullo, considerato che partiva già molto bassa.

Va detto: fino all’8 marzo, su indicazione dell’Aifa, Astrazeneca non poteva essere inoculato sopra i 65 anni. E per qualche tempo il limite era addirittura 55. Questo ha provocato evidenti distorsioni. Nonostante il piano vaccinale prevedesse la priorità per sanitari, residenti delle Rsa, over 80 e via a scendere per età (e cronicità), l’Italia si è trovata a disposizione un vaccino inutilizzatile per queste persone. E per non sprecarlo si è deciso, in modo un po’ raffazzonato, di destinarlo ora a questa ora all’altra categoria. Quando poi dal ministero della Salute è arrivato il via libera per Astrazeneca per ogni età, alcune regioni hanno continuato sulla strada del corporativismo, mentre altre si sono messe in riga. Il monito di oggi di Mario Draghi (“ci sono differenze regionali che sono molto difficili da accettare”) va proprio in questa direzione.

La verità è che la “doppia” corsia (età e categorie) per ora non ha portato a grandi risultati, anzi. Sin dall’inizio era apparsa assurda la decisione di vaccinare anche il personale amministrativo degli ospedali, pure chi sta prevalentemente in telelavoro. Che senso aveva? Vanno bene i medici, per evitare il collasso dei sistemi sanitari provocati dalle eventuali assenze per malattia. Ma perché immunizzare chi sta dietro a un computer? “Per rendere gli ospedali Covid free”, si è detto. Peccato che - come si legge nel piano vaccinale - non vi siano evidenze che dimostrino come i sieri siano in grado di prevenire l’infezione. Tradotto: gli amministrativi magari non si ammalano, ma si possono infettare e forse addirittura trasmettono il virus. Quindi gli ospedali saranno tutto, tranne che Covid free. Se avessimo dirottato quelle fiale (spesso di Pfizer e Moderna) verso i 60-80enni, probabilmente avremmo salvato alcune centinaia di vite. E non è poco. Ad oggi infatti gli over 60 vaccinati sono solo 4,1 milioni su 17,8 milioni di cittadini con quell'età. Siamo molto, troppo indietro.

C’è poi un’altra questione, diciamo territoriale. Fa notare Meletti che il 60% dei decessi tra i primi 100mila morti sono focalizzati in quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna) dove vive il 40% della popolazione italiana. Subito dopo vengono Lazio, Campania, Toscana e Sicilia con il 20% dei morti e il 33% degli abitanti d'Italia. Osservando le statistiche, sarebbe stato forse intelligente concentrare le munizioni nelle zone più colpite, distribuendo le dosi in base alla mortalità anziché in proporzione ai residenti. In questo modo avremmo potuto coprire quanti più over 70 possibili e abbassare quanto prima il numero di bare da sotterrare.

“La statistica ci dice che un lombardo over 70 - scrive Domani - ha circa il doppio di probabilità di morire di Covid rispetto a un suo coetaneo marchigiano, quindi che la dose mandata in Lombardia ha un'efficacia doppia di quella mandata nelle Marche”. Sarebbe stato difficile da spiegare ai cittadini delle Marche, ma forse sarebbe stata la scelta più giusta.

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