E il Senato diventò un girone infernale

E il Senato diventò un girone infernale

I rituali della crisi sono tutti rispettati. Ci sono gli annunci riservati. Ieri mattina Francesco Zicchieri, coordinatore leghista del Lazio, ha inviato sms ai parlamentari del Carroccio della regione: «Oggi Salvini apre la crisi a Sabaudia». Non quella del Comune, ma quella di governo. Il riferimento a Sabaudia riguardava solo il comizio programmato lì da tempo: la cosa fa un po' ridere, ma il richiamo alla località balneare ci sta, visto che il vicepremier leghista ha eletto a quarta Camera (dopo Senato, Camera e Porta a Porta) il Papeete di Milano Marittima. Ci sono le provocazioni. La sera prima Salvini ha confidato agli intimi: «Se fossi Di Maio offrirei la testa di Toninelli». Ci sono le anticipazioni. Ieri Berlusconi ha spedito al Senato Giorgio Mulè nei panni di osservatore: i leghisti avevano fatto sapere che il capogruppo Romeo avrebbe messo all'angolo i grillini e poi Salvini avrebbe dato la botta aprendo la crisi. E c'è, infine, la tradizionale riffa sulle date elettorali. Al sottosegretario all'Interno leghista, Stefano Candiani, un parlamentare ha chiesto ieri mattina: «Si possono fare le politiche insieme alle regionali dell'Umbria il 20 ottobre?». La risposta è stata: «Si può, si può!».

Solo che dopo mesi di tira e molla sulla crisi che non arriva mai, gli «al lupo al lupo» della favola di Esopo pervadono l'intero Parlamento. Anche perché i «gialli» e i «verdi» ormai hanno dimostrato al mondo che non c'è più un confine tra realtà e finzione, tra commedia e tragedia. Ieri, ad esempio, i due rappresentanti del governo nell'aula del Senato hanno detto cose opposte sulla Tav: il leghista Garavaglia ha annunciato che l'esecutivo era a favore; il grillino Santangelo che si rimetteva all'aula. Una contraddizione, com'è una contraddizione il rischio di una crisi quando appena due giorni fa Salvini ha ricevuto una fiducia personale sul decreto sicurezza bis e ieri a Palazzo Madama è passata la linea della Lega sulla Tav. Logica vorrebbe che siano i grillini a minacciare la crisi. Invece no. Appunto, il tragico diventa comico. Per cui non deve meravigliare se Matteo Renzi osserva sicuro: «Crisi? Elezioni? No, perché Salvini non ha le palle! Eppoi Mattarella non gli darebbe le elezioni in autunno, non ci sono i tempi. Io ci sono passato: se Mattarella mi avesse dato le urne nel giugno del 2017, la storia del Paese sarebbe cambiata». Traduzione: se si andasse a votare il 20 ottobre, servirebbe poi il tempo per formare un governo (l'ultima volta ci hanno impiegato tre mesi) e il Paese rischierebbe l'esercizio provvisorio che aprirebbe la strada all'aumento dell'Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. E il pericolo non è certo il mestiere di Mattarella.

Già, in tanta confusione c'è bisogno di un Virgilio per essere accompagnati in quell'inferno che è diventato il Parlamento dopo un anno di governo del cambiamento. Dove, appunto, i dannati, cioè senatori e deputati, non vogliono essere spediti al girone infernale che prevede come pena nuove elezioni. E l'altro Matteo, Renzi, che si propone come politologo, fa all'uopo. Diciamo subito che se Salvini aprisse la crisi, la prima opzione sarebbe un «rimpastino» per riportare la pace: cioè, la testa di Toninelli. Buona parte del vertice grillino ci starebbe. «Io racconta il sottosegretario Buffagni - avevo convinto tutta la prima fila a fare fuori Toninelli a marzo. Ma poi Conte ha avuto paura. Diceva: Se cominci a ballare la rumba non sai poi come finisce». Ora il rimpastino è più difficile: Di Maio, fosse solo per salvaguardarsi l'immagine, non vuole cedere al diktat salviniano. «Semmai ha spiegato ai suoi Salvini proponga un rimpastone, un Conte bis». Il vicepremier leghista, a quel punto, nell'incontro a tre (Conte, Salvini, Di Maio) di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, lo ha preso in parola, solo che ha esagerato, dato che ha chiesto la testa non solo di Toninelli, ma anche quelle della Trenta, di Costa e Bonafede: magari la tecnica dell'esasperazione per farsi rispondere «no». «Eppure sarebbe facile ironizza Renzi-Virgilio , tra i grillini molti vorrebbero prendere il posto di chi è al governo solo per andare in Tv e trombare di più».

Solo che la questione è più complicata: la realtà è che Salvini punta alle elezioni in primavera e per lui sarebbe difficile mettere in piedi un Conte bis ora e, poi, togliergli la fiducia tra qualche mese. Il nervosismo del vicepremier leghista nasce proprio dalla consapevolezza che si sta complicando la strada per le urne nel 2020. I segnali subliminali che giungono dal Colle lo hanno messo in tensione: prima l'avviso che non può essere l'attuale esecutivo a gestire le elezioni, per cui ci sarebbe bisogno di un governo elettorale; più di recente, l'avvertimento che con l'approvazione il 9 settembre del provvedimento di rango costituzionale che taglia il numero dei parlamentari, il Quirinale dovrà garantire che l'iter arrivi a compimento prima del voto. «Una folla di peones è pronta a promuovere un referendum osserva Matteo Virgilio , Mattarella non potrebbe sciogliere prima che si svolga. Si arriverebbe di sicuro al 15 maggio».

Certo ci sarebbero i tempi per votare a giugno. Ma il vicepremier leghista potrebbe essere il bersaglio di una manovra ancora più complessa: la diminuzione del numero dei parlamentari, infatti, renderebbe l'attuale legge elettorale estremamente maggioritaria. La Lega, con gli attuali sondaggi, potrebbe davvero correre da sola e assicurarsi la maggioranza in Parlamento. Così, in teoria, Salvini avrebbe la forza di nominare successore di Mattarella chiunque voglia. «Non penso commenta Renzi-Virgilio, vittima del famoso referendum che siano disposti a dare a Salvini il Potere che non hanno dato a me». E, infatti, nei gironi infernali qualcosa, sotto la cresta, si muove. «Cambiamo la legge elettorale confida Walter Verini, piddino di credo zingarettiano : via la parte maggioritaria e lasciamo solo il proporzionale. Sarebbe un modo per salvaguardare gli equilibri istituzionali. Altrimenti c'è il rischio autoritario: Salvini potrebbe mandare sul Colle anche il suo segretario. Un obiettivo del genere vale un governo di scopo». Gli fa eco il sottosegretario grillino Crimi: «Ci sono governi che nascono solo per fare leggi elettorali. Quello di Gentiloni nacque con quello scopo. Poi fece pure la legge di bilancio e durò più di un anno». Congettura che basta e avanza per irritare Salvini. «Abbiamo il fondato sospetto ammette il capogruppo 5stelle Patuanelli che dietro l'accelerazione di Salvini ci sia questo timore».

Ecco perché il vicepremier leghista è tentato dalla crisi, ma sa di correre il rischio di non avere poi le urne. Motivo per cui è diviso. «Da una parte Salvini è l'analisi di Matteo-Virgilio può restare al riparo del Viminale e farla da padrone a primavera nella più grande mietitura di nomine pubbliche degli ultimi anni. Dall'altra fa la crisi con il rischio di non andare al voto. A quel punto passi dalla gloria alla polvere in un minuto. Lo so per esperienza personale. Ti arrestano pure la mamma. E non so se lui, malgrado la faccia tosta, possa dirsi tranquillo.

Così ti ritrovi come me, con uno Zanda qualunque che ti chiede di lasciare la politica. Un tipo che fonte Gentiloni ordina nelle trattorie romane champagne Dom Perignon ma se lo fa versare in una brocca, per far pensare al popolino che beve vino dei Castelli. Figurati un po'!».

Augusto Minzolini

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