"Non crediate ci vorrà poco tempo alla famiglia dell'agente ucciso per ottenere l'aiuto dello Stato". La verità a volte è molto più cruda di quanto ci si possa attendere. Franco Maccari lo sa, e lo spiega con la voce rassegnata ma combattiva di chi ha lavorato in passato, "e purtroppo anche oggi", per garantire alle famiglie dei poliziotti caduti l'aiuto che lo Stato gli dovrebbe garantire. Da Segretario Generale del Coisp, Maccari sta seguendo da vicino la vicenda di Francesco Pischedda, il poliziotto 29enne morto a Lecco durante l'inseguimento di un bandito. Francesco ha lasciato una compagna e una figlia di 10 mesi che nei prossimi mesi dovranno lottare contro la burocrazia che non risparmia neppure i martiri.
Cosa spetta ora alla famiglia di Pischedda?
"Sicuramente lo Stato verserà un contributo per il funerale. Intendiamoci, non è che copra tutte le spese e in questo caso c'è una complicazione ulteriore, visto che con la compagna non erano sposati. Probabile sollevino dei problemi. Solo dopo le esequie, però, comincerà il vero calvario"
In che senso?
"Il ragazzo è morto per causa di servizio. È evidente. Ma prima che la bambina possa ottenere l'indennizzo, circa 200mila euro, passerà molto tempo. Almeno un anno".
Perché?
"Perché scatterà una lunga inchiesta per capire come siano andate davvero le cose. Va acclarato che sia morto facendo il suo dovere. Sembra assurdo, ma molti vengono esclusi: se un agente viene ucciso sotto casa per vendetta da un malvivente, ma non si trova il colpevole, allora è probabile che l'indennizzo non lo riceva mai".
Un anno è un tempo infinito per una famiglia rimasta senza padre.
"Ed è così quando le dinamiche sono abbastanza chiare, come in questo caso. Solitamente si va molto più lunghi".
Un processo.
"È un percorso che lacera la famiglia. Ora i colleghi di Pischedda dovranno produrre un fascicolo, e non è detto che riescano a compilarlo velocemente visto che non capita spesso di trovarsi di fronte alla morte di un collega. Poi la documentazione verrà spedita alla commissione medica dell'Ospedale militare, poi ancora al comitato a Roma. Qui si fermerà molti mesi prima che il caso venga preso in esame".
L'iter per autorizzare l'indennizzo parte in automatico?
"Per il contributo del funerale sì, per il resto occorre compilare le domande. E non è detto che tutti abbiano la prontezza di farle quando sono chiusi nel dolore per la scomparsa di un caro. Abbiamo seguito casi in cui non erano state presentate le carte".
Un attimo. Mi vuole dire che un ragazzo muore per servire lo Stato e nessuno si preoccupa di accertarsi che la famiglia, senza fatica, possa avere l'indennizzo?
"Le dirò di più. Bisogna pure stimolare l'amministrazione affinché non contrasti l'autorizzazione al versamento. Sovente lo Stato fa opposizione. È un caos burocratico creato da norme stratificate, nate con l'obiettivo di evitare sprechi ed errori nell'elargizione dei sussidi. Una babele di leggi che i funzionari interpretano in maniera restrittiva. Spesso capita di dover far ricorso".
Fare ricorso per un "eroe". Sembra un paradosso.
"Hanno paura di autorizzare pagamenti non dovuti e poi essere redarguiti dai superiori o addirittura condannati dalla Corte dei Conti. È puro terrorismo burocratico. Per non parlare del pagamento delle spese mediche dei feriti".
In che senso?
"È un vero e proprio dramma. Le verifiche mediche per valutare se la malattia è nata in servizio sono ridicole. Ricordo un mutilato rinviato di un anno perché volevano controllare che dopo qualche tempo non fosse cambiato nulla. Cosa vuole che cambi dopo 12 mesi? Che ricresca l'arto?".
È più scandalosa l'assenza di garanzie in caso di morte o ferimento, oppure i rischi che corrono gli agenti ogni giorno?
"Entrambe le cose. L'agente di Lecco ha dovuto affrontare quel bandito a mani nude perché manca il minimo equipaggiamento operativo. Siamo costretti ad usare il corpo quando potremmo fermarli con spray al peperoncino. Se quel ragazzo lo avesse avuto, non sarebbe morto".
Ma non era stato autorizzato?
"Ci sono voluti 8 anni per iniziare a distribuirlo. Peccato ne abbiano acquistati pochi e per ora può utilizzarlo solo il capo pattuglia".
Di sparare nemmeno a parlarne.
"Abbiamo paura ad usare l'arma. Temiamo i processi mediatici e giuridici. Ogni volta si finisce alla gogna. Ma così c'è il rischio che gli agenti pensino sia meglio voltarsi a guardare da un'altra parte, piuttosto che rincorrere un malvivente".
Poi però le tragedie accadono lo stesso.
"Perché nessun polizitotto si sognerebbe di far finta di nulla. Nel cuore abbiamo una divisa che ci spinge a correre. In fondo è ciò che ha fatto l'altra sera Pischedda: è morto per un eccesso di dedizione. Noi poliziotti siamo fatti così".
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