Da oggi Amedeo Mancini è libero. Al giovane ultras accusato di aver ucciso con un pugno Emmanuel Chidi Nnamdi, il nigeriano morto a Fermo lo scorso 5 luglio, è stata riconosciuta la buona condotta. Pena alleviata dunque, dopo che il caso mediatico - sollevato dalle (rapide) prese di posizione di Laura Boldrini e Maria Elena Boschi - lo avevano portato a patteggiare 4 anni di reclusione ai domiciliari (leggi: Tutta la verità sull'omicidio di Fermo).
Mancini esce per buona condotta
I difensori Francesco De Minicis e Savino Piattoni nei giorni scorsi avevano presentato una richiesta al giudice per allungare l'orario giornaliero concessogli dal patteggiamento per andare a lavorare nei campi. Ma per il magstrato c'erano tutti gli estremi per premiare quel ragazzo che si è sempre detto dispiaciuto della morte di Emmanuel e che ha più volte ribadito di aver solo "reagito" ad una aggressione. "Il giudice - spiegano i legali - anche in considerazone del buon comportamento tenuto da Mancini nel corso degli arresti dimiciliari, ha autonomamente ritenuto maturi i tempi per un suo completo ritorno in libertà". Niente più domiciliari, dunque. Solo una firma giornaliera alla caserma dei Carabinieri di Fermo.
Cosa successe a Fermo
Una buona notizia dunque per l'ultras della fermana che, chiedendo il patteggiamento, aveva tenuto a precisare di farlo per "stemperare la tensione". "Mancini sente la responsabilità morale pur non riconoscendo una colpa vera e propria dell'accaduto", avevano spiegato i suoi avvocati. Riflessione sostenuta da testimonianze e ricordi di quanto accaduto: erano quasi le tre del pomeriggio quando il fermano pronuncia per due volte il fatidico insulto ("Scimmia") rivolto contro Emmanuel e sua moglie Chenyere. Un punto di non ritorno: il nigeriano reagisce, insieme alla moglie aggrediscono Mancini e il suo amico. Poi tornano indietro e ricominciano ad azzuffarsi. Nel mezzo della rissa, l'ultras sferra il pugno che fa cadere Emmanuel facendogli battere fatalmente la testa contro il marciapiede.
ll patteggiamento
Il caso propiziò un incredibile circolo politico-mediatico. Ministri e presidenti della Camera sfilarono al matrimonio, fecero volare accuse di ogni tipo e condanne preventive. Si basarono sulle dichiarazioni della vedova del nigeriano, poi smentite da diversi testimoni. Alla fine arrivò il patteggamento: gli avvocati riuscirono a concordare quattro anni di pena ai domiciliari con il permesso di uscire 4 ore al gorno per lavorare nei campi. "Delle tre aggravanti contestate - spiegò l'avvocato De Minicis - si era ritenuta insussistente e quindi eliminata quella dei motivi abietti e futili, e si era concordato di non applicare la recidiva reiterata e specifica".
"Non ci fu razzismo"
In realtà la battaglia legale non è ancora del tutto conclusa. Il pm infatti decise di mantenere viva l'aggravante razziale del gesto, pur riducendo l'incremento di pena da 5 anni tre mesi. Aggravante che però sembra fare a pugni con l'attenuante "della provocazione" concessa dal giudice (fu Emmanuel ad aggredire per primo, usando anche un palo della segnaletica stradale). Per questo il 28 novembre la Cassazione dovrà esprimesi in merito. Cosa potrebbe succedere? "Non ci sarà diminuzione (o quasi) di pena - spiegano i legali - Potrà, però, avere importanza sul pano etico e giuridico". La motivazone con cui il giudice concesse l'attenuante della provocazione, infatti, "attesta inequivocabilmente che sul braccio sinistro di Mancini era restata per giorni l'impronta precisa del colpo che Emmanuel gli aveva inferto col segnale stradale".
Secondo l'avvocato De Mincis, "questo accertamento spazza via per sempre le contrarie illazioni, inizialmente alimentate dall'inveritiero di Chenyere, secondo le quali il giovane fermano non sarebbe stato l'aggredito, ma addirittura l'aggressore".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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