Ci sono novità sulle linee guida che i sacerdoti devono almeno tenere a mente nel momento in cui mettono al mondo dei figli.
Esistono persone che, avendo avuto un consacrato come padre, possono essere incappate in difficoltà. L'insieme che le raccoglie, la definizione sintetica, è: "figli dei preti". Sui media italiani se ne parla da un po'. L'inchiesta di Michael Rezendes del Boston Globe e l'impegno di Vincent Doyle, che è il fondatore di Coping International, un'associazione che supporta i soggetti interessati, e magari cerca di fare chiarezza su questi casi, hanno contribuito ad alimentare il dibattito su un tema che aveva tutta l'aria di essere un tabù.
Fare stime sul fenomeno è impossibile. Ci si limita a soppesare il tutto mediante l'utilizzo di aggettivi: "sono tanti", "sono più di quello che si possa pensare" e così via. Ma qualche giorno fa, era emersa la notizia secondo cui dalle parti di piazza San Pietro avessero deciso d'intervenire per sanare quello che sembrava un vuoto normativo: più di qualche quotidiano, anche fuori dal continente europeo, aveva fatto riferimento all'esistenza di linee guida "segrete".
Adesso, grazie a quanto è stato pubblicato su Vatican News, viene dipinto un quadro che è molto più chiaro. Da quanto si apprende leggendo, il problema è noto ed è stato sollevato durante il pontificato di Benedetto XVI, che è stato anche, con ogni probabilità, il primo promotore della linea della "tolleranza zero", che rileva rispetto a un'altra questione di stretta attualità: quella degli abusi ai danni di minori e degli adulti vulnerabili. All'interno dell'intervista rilasciata dal cardinal Beniamo Stella si comprende come delle linee guida esistano almeno da un decennio: "l Dicastero segue una prassi fin dai tempi in cui era Prefetto il Cardinale Claudio Hummes – da una decina di anni – il quale per primo aveva portato all’attenzione del Santo Padre, all’epoca Benedetto XVI, i casi di sacerdoti minori di 40 anni con prole, proponendo di far loro ottenere la dispensa senza attendere il compimento del quarantesimo anno come previsto dalle norme di quel tempo".
La Santa Sede, insomma, non avrebbe affatto evitato d'interrogarsi su quali comportamenti andassero imposti ai consacrati divenuti padri. Viene quindi fuori un documento, denominato "Nota relativa alla prassi della Congregazione per il Clero a proposito dei chierici con prole": quello che dispone sull'argomento in oggetto. Le specificità sono molteplici, ma vale la pena segnalare il fatto che Stella ha ribadito come al centro dell'azione normativa vi sia "il bene" di questi figli di consacrati: "L’importante è che il sacerdote di fronte a questa realtà sia in grado di comprendere qual è la sua responsabilità di fronte al figlio: il suo bene e la sua cura devono essere al centro dell’attenzione della Chiesa perché non manchino alla prole non soltanto il necessario per vivere, ma soprattutto il ruolo educativo e l’affetto di un padre".
Significa che le persone consacrate che hanno avuto un figlio, in maniera volontaria o no, dovrebbero "spretarsi", tornando a essere dei semplici
laici. Questo, almeno, sembra essere il senso delle parole del porporato italiano. Ma questo avviene? Ed è la domanda attorno a cui ruota l'impegno di tanti che vorrebbero vedere il "diritto ad avere un padre" garantito.
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