È stato in parte risolto il "cold case" di Castua, nel Fiumano, oggi Croazia. Lì dove il 4 maggio del 1945 un commando di partigiani jugoslavi scaricò i propri fucili addosso ad un gruppo di prigionieri che, sino ad oggi, non avevano né un nome né un cognome. Di loro l’unica informazione certa era la nazionalità: quella italiana.
Un eccidio silenzioso, rimasto nascosto finché Amleto Ballarini, esule e presidente della Società di Studi Fiumani di Roma, non iniziò le sue ricerche. Era il 1960 quando sulla rivista "Difesa Adriatica" apparse una lettera di Vita Ivancich, croata e moglie del maresciallo della Guardia di Finanza Vito Butti. Era il racconto dello strazio di quel giorno. Non lo aveva visto con i suoi occhi, ma attraverso quelli della figlia Eva, appena quattordicenne, che si trovò di fronte al corpo di suo padre, martoriato dalle percosse e dai proiettili, insieme ad altri uomini. Un tappeto di cadaveri, tra cui l’adolescente distinse anche il senatore Riccardo Gigante, il vicebrigadiere dei Carabinieri Alberto Diana e il giornalista Nicola Marzucco. Grazie all’intercessione della sorella, una partigiana, e non senza difficoltà, due anni dopo, la signora Ivancich riuscì a recuperare le spoglie di suo marito, gettato assieme agli altri in una fossa comune in una località segreta.
Partono da quella testimonianza le indagini di Ballarini. Iniziano i viaggi oltre confine e le traversie perché, ricorda Marino Micich, direttore dell’Archivio del Museo Storico di Fiume che prese parte a quell’avventura, "all’epoca erano ancora vivi i capi partigiani e quel tipo di ricerche comportava notevoli rischi". La svolta arriva quando i due incontrano don Franjo Jurčević, parroco della chiesa di Sant’Elena a Castua. Il prete aveva raccolto le confessioni dei fedeli, informazioni preziose per i due studiosi che, negli anni Novanta, riescono ad individuare la fossa comune dove erano stati occultati i cadaveri. Ed è proprio sulla base di quell’indagine che a luglio scorso è avvenuta la riesumazione.
Delle operazioni si è occupata l’Onorcaduti, in collaborazione con l’omologa croata. Eppure, nonostante le testimonianze raccolte da Ballarini e Jurčević, per un anno non si è sciolto l’enigma né del numero né dell’identità dei corpi. Indubbie, invece, la paternità e le ragioni etniche dell’eccidio. Le condizioni dei resti, "scomposti e frammisti", e le poche cose sopravvissute al logorio del tempo (due orologi, una protesi con due denti d’oro, due pettini, un gemello da polso ed un bocchino) non sono servite a dare risposte (guarda la gallery). Occorreva una prova inconfutabile: quella del dna. Anche stavolta si è rivelato fondamentale il lavoro svolto dalla Società di Studi Fiumani che era riuscita a rintracciare sia il pronipote di Gigante che un’erede di Diana, entrambi disponibili a sottoporsi all’esame.
Così, ieri, è stato per primo il senatore azzurro Maurizio Gasparri a far trapelare l’esito degli accertamenti: "Apprendo con commozione, dal Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Vecciarelli, che dopo gli accertamenti svolti dai reparti specializzati dell’Arma dei Carabinieri, alcuni dei resti recuperati nel territorio di Castua, nei pressi di Fiume, su iniziativa delle associazioni degli esuli istriani, giuliani, fiumani e dalmati, risalenti al triste periodo degli infoibamenti e del massacro di tanti italiani, appartengono al senatore Riccardo Gigante e al vicebrigadiere dei Carabinieri Alberto Diana". Inoltre, è stato finalmente possibile stabilire il numero esatto delle vittime, sette, come annunciato dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. "Complimenti a tutti coloro che hanno reso possibile questo ritrovamento, svolgete un lavoro che riunisce ed interpreta i più alti aspetti valoriali che sono a fondamento della nostra Nazione", ha chiosato la Trenta.
Per Marzucco e per gli altri, però, non si è riusciti a rintracciare eredi ancora in vita. Rimarranno “caduti senza nome”. Invece per il senatore Gigante, podestà di Fiume e irredentista della prima ora, sembrano destinate a spalancarsi le porte del Vittoriale degli Italiani. È lì che riposano le spoglie del Vate e dei suoi più stretti collaboratori. Mancavano ancora all’appello quelle di Gigante, a cui D’Annunzio aveva riservato un’arca rimasta sinora vuota.
"La speranza – spiega Marino Micich – è che le spoglie di Gigante vengano presto traslate nell’Arca del Vittoriale". E non solo:"Ci piacerebbe che venisse realizzata una targa al Senato per ricordarlo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.