La proposta dei Cinquestelle di togliere la possibilità di accedere al Parlamento (e ad altri incarichi) a quanti hanno patrimoni sopra i 10 milioni di euro appartiene al novero delle sciocchezze pre-elettorali. È un'idea insensata, dato che si tratterebbe di violare un principio cruciale: quello dell'eguale dignità di tutti di fronte alla legge e, di conseguenza, dell'eguale facoltà a votare ed essere eletto.
Quando un ordinamento civile mette in discussione questa facoltà? Si impedisce di partecipare al gioco democratico solo a quanti hanno commesso gravi crimini e per questo vengono privati dei diritti politici. Ma un Paese che trasformasse la ricchezza in un misfatto, introducendo un'equazione tra chi ha avuto successo e chi ha compiuto terribili reati, sprofonderebbe nel ridicolo.
Il problema che Luigi Di Maio vorrebbe risolvere è quello del «conflitto d'interessi». Il timore è che un tycoon alla testa di un'impresa possa usare la propria presenza in questo o quell'organismo pubblico per arricchirsi. Una cosa che certo succede non di rado. Un imprenditore non ha però necessariamente bisogno di essere eletto in prima persona, poiché gli può essere sufficiente far nominare qualcuno che risponda a lui. Anche sul piano dell'efficacia, insomma, si tratta di una proposta assai fragile.
Per giunta, bisognerebbe una volta per tutte comprendere che entro certi limiti siamo tutti in conflitto di interessi. Ognuno di noi può desiderare che arrivino più soldi alla sua città, che vi siano maggiori protezioni per il suo settore professionale, che vengano introdotti taluni sgravi fiscali. Ognuno ha interessi e, di conseguenza, è condizionato da tutto ciò.
La vera soluzione, comunque, non consiste nel limitare la partecipazione alla vita civile e neppure nel negare a talune categorie quei «diritti politici» che la cultura progressista celebra in continuazione. Se si vuole evitare che il potere pubblico venga usato a fini privati la strada da imboccare è una sola: ridurre l'ampiezza del potere e avvicinare le decisioni ai cittadini.
Forse Di Maio non si è reso conto delle implicazioni della sua proposta: non si è reso conto che non si può celebrare la Costituzione anche dove, all'articolo 3, afferma che «i cittadini hanno pari dignità sociale (...) senza distinzioni (...) di condizioni personali e sociali», e poi creare una discriminazione tanto lesiva della dignità dei singoli. Soprattutto, poi, non ha capito che i «ricchi» continueranno a trarre beneficio dall'azione di tutti i governi, compreso quello attuale, se lo Stato continuerà a normare ogni settore, sottrarre enormi quantità di risorse, spendere a più non posso.
Presenti in prima persona oppure no, i grandi imprenditori sono comunque in grado - in vari casi - di trarre beneficio dall'azione pubblica.Solo una politica meno invadente e l'adozione di orientamenti più liberali possono impedire tutto questo, ma è proprio questo che l'attuale governo si guarda bene dal fare.
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