"Garibaldi? Era juventino". Ecco perché...

Assalto post-futurista, sberleffo partenopeo, pernacchio di eduardiana memoria: tutto questo è il Garibaldi juventino

"Garibaldi? Era juventino". Ecco perché...

Il 7 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi faceva il suo ingresso a Napoli, dove era giunto comodamente in treno. Marcia trionfale sulla Marina, sosta al Duomo per il ‘Te Deum’, breve discorso alla folla a Largo di Palazzo (oggi piazza del Plebiscito) e poi passaggio del cosiddetto ‘Spiritussant’, lo Spirito Santo, cuore artigiano di via Toledo. Presenti in testa al corteo anche il ministro di polizia del Regno delle Due Sicilie Liborio Romano e il camorrista Salvatore De Crescenzo, Tore e’ Crescienzo, i cui sgherri gestirono l’ordine pubblico durante l’evento. Un momento che un dipinto a china del pittore boemo Franz Wenzel Schwarz realizzato tra il 1860 e il 1875 racconta in un tripudio di popolo con tricolori dell’Italia sabauda levati al vento. Sullo sfondo testimone muto e austero lo splendido Palazzo Doria D’Angri a separare con la sua dimensione monumentale le prospettive di via Sant’Anna dei Lombardi e della stessa via Toledo. Proprio dall’edificio neoclassico che vide l’opera di architetti come Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga, Garibaldi proclamò l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia. In pratica quel giorno Napoli cessò di essere Capitale di Stato, sebbene il suo ruolo in Italia resterà davvero di primo piano almeno fino alla fine della Grande Guerra nel 1918. Certo, chi lo avrebbe mai detto al Generale, all’Eroe dei due mondi, che 161 anni dopo alcuni napoletani con un blitz lo avrebbero tesserato d’ufficio con la Juventus. Infatti ieri mattina, 23 giugno 2021, alcuni esponenti del movimento “Napoli Capitale” con un blitz hanno messo sulle spalle della statua di Garibaldi in Piazza Mancini, proprio dal lato opposto rispetto alla stazione ferroviaria centrale, un’enorme maglietta bianconera con la scritta “Garibaldi era juventino”. Alle 8 gli addetti comunali hanno ceduto il neojuventino sul mercato, togliendogli la casacca non colorata. Il 15 giugno scorso una maglietta, quella con il numero 10 di Diego Armando Maradona, aveva acceso la campagna elettorale per le comunali con Giuseppe Conte in atto di interposto pentimento per la fede bianconera del candidato Pd-5Stelle Gaetano Manfredi. L’ex Presidente del Consiglio l’aveva ricevuta in omaggio sventolandola a beneficio di telecamere, fotografi e cittadini.

Assalto post-futurista, sberleffo partenopeo, pernacchio di eduardiana memoria: tutto questo è il Garibaldi juventino. Perché unisce in una sintesi ultra popolare le due avversioni forse più epidermiche, sanguigne e accorate dei napoletani: la Juventus e il Risorgimento sabaudo. Sulla prima nulla quaestio, come da brocardo giuridico: niente da dire. La Juventus è il compendio ideale che funge da contenitore di tutto ciò che al napoletano resta sullo stomaco: il Nord Italia, la Fiat, il potere degli Agnelli, il potere nel calcio, la vittoria a ogni costo. Il 3 novembre 1985 con una memorabile e impossibile punizione delle sue (la barriera non era assolutamente a distanza regolamentare) Maradona stese i bianconeri ed entrò definitivamente nel cuore dei napoletani. Il 6 aprile 1975 l’ex giocatore napoletano Josè Altafini segna a due minuti dalla fine il gol del 2 a 1 per la Juventus sul Napoli, risultato che sarà decisivo per far vincere ai bianconeri uno scudetto sul filo di lana proprio davanti ai napoletani. I tifosi azzurri non la perdoneranno al campione brasiliano, lo ribattezzeranno ‘core ‘ngrato’, cuore ingrato, come una canzone di inizio Novecento resa famosa da Enrico Caruso. Metteteci i trasferimenti alla Vecchia Signora dei napoletanissimi Ciro Ferrara (estate 1994) e Fabio Cannavaro (estate 2004, ma il difensore non era più del Napoli dal 1995).

Aggiungeteci anche, già che ci siete, che i tifosi di ‘quelli là’, quando battono il Napoli cantano a squarciagola “O’ surdato ‘nnammurato”, segno però che la cultura napoletana conquista davvero tutti senza distinzioni e confini. Ecco spiegata in parte una rivalità inestinguibile. Sul Risorgimento e il Sud si aprirebbe un capitolo troppo lungo per questa sede. Certamente un ritrovato impegno politico economico e culturale sul Mezzogiorno d’Italia e sulla sua metropoli più rappresentativa darebbero nuova linfa a una dimensione nazionale dell’Italia, svuotando così la palude di isolazionismi e secessionismi. Quella statua di Giuseppe Garibaldi non è mai stata troppo amata dai napoletani. Dopo la morte di Maradona (25 novembre 2020) in molti proposero di abbatterla e sostituirla con una dedicata al Pibe de Oro. Altri ancora vorrebbero vedere su quel piedistallo Ferdinando II, il Re Bomba, ma anche il creatore delle officine di Pietrarsa.

Eppure il Generale Garibaldi è lì dal 7 settembre 1904, 44 anni esatti dopo l’ingresso delle camicie rosse a Napoli, quando l’opera del maestro fiorentino Cesare Zocchi fu inaugurata in pompa magna e prese il posto della fontana dedicata alla sirena Partenope che oggi fa bella mostra di sé in piazza Sannazaro. Come emerge dalla significativa biografia dell’Eroe dei due Mondi a cura di Indro Montanelli e Marco Nozza, Garibaldi girò il mondo alla ricerca di cause per le quali combattere, sempre sentendosi italiano. E la sua fu una predilezione soprattutto per i Sud del mondo e per la liberazione dei popoli oppressi. Fu un personaggio davvero globale in un mondo e in un’epoca che ancora ignoravano quest’orizzonte che oggi è nelle cose. Ci sentiremmo perciò di dubitare che Garibaldi sarebbe stato tifoso della Juventus. Più probabilmente avrebbe tifato per squadre come il Nizza, l’Ajaccio, il Cagliari, il Boca, il Genoa. E forse, chissà, anche il Napoli. Di sicuro avrebbe fatto l’impossibile per arruolare un eroe e un paladino del pueblo e dei Sud del mondo come Maradona. Per cui l’azione dei futuristi di “Napoli Capitale” ha diversi meriti: ci restituisce un Garibaldi più pop che mai, figura viva e contemporanea più che mai in un’Italia contemporanea in cui scarseggiano i simboli in cui identificarsi (perfino la Nazionale di calcio non ha leader riconosciuti).

E forse può dare ulteriore spazio a un divulgazione del Risorgimento che, pur con i diversi orientamenti storiografici, resta l’unica vera tradizione nazionale italiana. Aspettiamo che il Napoli vinca il terzo scudetto della sua storia. Vedrete che Giuseppe Garibaldi indosserà magicamente la casacca biancazzurra sorridendo nascosto dalla folta barba…

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