Nella battaglia delle Generali c'è anche un caso Consob. Con il suo presidente, Paolo Savona, che (via twitter) accusa di essere tenuto in «scacco». Fino a ieri il tema esisteva, ma era sottotraccia: alla Commissione che vigila su società e Borsa si è rivolto - a inizio novembre - Francesco Gaetano Caltagirone, per chiedere se fosse lecito che a proporre gli amministratori di una società quotata possano essere gli stessi amministratori uscenti (la cosiddetta «lista del cda»). E per sapere se sia lecito che un socio ricorra al prestito titoli per sostenere le lista dal cda.
La nuova governance è stata recentemente adottata da Generali (oltre che da altre 10 società italiane), dove Caltagirone, detiene oltre l'8% del capitale e, insieme con Leonardo del Vecchio e la Fondazione Crt, forma un patto per votare in assemblea, arrivato oltre il 16%. A questi la «lista del cda» non piace niente, perché li taglia fuori dai giochi. Mentre è fortemente sostenuta da Mediobanca, azionista con circa il 13% del capitale, al punto da essere ricorsa al prestito titoli per superare il 17% in vista dell'assemblea.
Ebbene, la Consob di Savona è stata criticata sia per non aver risposto ai quesiti di Caltagirone, scegliendo la strada di una sorta di raccomandazione («richiamo d'attenzione»); sia per non aver ancora comunicato l'esito del sondaggio a cui il richiamo di attenzione è stato sottoposto sul mercato, concluso il 17 dicembre. Tanto che, nel frattempo, Generali è andata avanti sulla lista del cda, arrivando a stilare un elenco di una trentina di possibili candidati. Di tale lentezza sarebbe responsabile il presidente Savona. Accusato sui media di tergiversare, di non voler svolgere il suo ruolo decisivo in una commissione dove gli altri 4 commissari sarebbero schierati in parità: Di Noia e Mosca più inclini a non ostacolare la lista (e quindi Mediobanca); Berruti e Ciocca più convinti delle ragioni dei pattisti e dubbiosi sul prestito titoli. E Savona? Il suo voto sarebbe decisivo. Ma davanti alle critiche, invece di far finta di niente ieri il presidente ha scritto un velenoso tweet: «Non sono io a tenere in scacco la Consob, ma è la vecchia Consob a tenere in scacco Savona. È in corso l'eterna lotta tra la conservazione e l'innovazione sui cui si va giocando il futuro dell'Italia». Ma cosa vuole dire Savona? Chi è la vecchia Consob?
Il riferimento potrebbe essere alla «macchina» dell'Authority, che opera attraverso le sue divisioni, non del tutto impermeabili agli interessi dei vari soggetti di volta in volta coinvolti in dispute giuridico-finanziarie. O forse Savona si riferisce alla debolezza che la Commissione ha spesso dimostrato di fronte ai «poteri forti» di Piazza Affari. In ogni caso appare difficile, per Savona, considerarsi estraneo a questi mondi ed ergersi paladino del rinnovamento, essendo egli stato per decenni vicino proprio alla galassia Mediobanca, sia con qualche incarico connesso, sia con la propria storia di liberista repubblicano, naturalmente omogenea alla finanza laica di Piazzetta Cuccia.
Nel caso specifico di Generali, l'impressione è che si stia facendo una tempesta in un bicchier d'acqua. Tanto che è attesa proprio per oggi una riunione della Commissione per esaminare e licenziare in tempi brevi la versione finale del richiamo d'attenzione. Ma chi si aspetta una svolta nella disputa tra Mediobanca e pattisti rimarrà deluso.
Non essendo Consob il legislatore, non spetta all'Autorità vietare la lista del cda o disciplinarla.
Il richiamo non sarà dunque altro che la conferma dei paletti già proposti (la procedura, i consiglieri indipendenti). Senza divieti o censure. Resta il fatto che sulla questione è scoppiato uno scontro senza precedenti all'interno della Consob. E le conseguenze sul futuro dell'Authority non mancheranno.
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