“I pazienti che, come evidenzia lo studio, hanno guadagnato la vita (mortalità ridotta dal 16% al 6%), ringraziano. Gli altri tacciano”. Lo ha evidenziato Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di Microbiologia dell'ospedale Sacco di Milano. La virologa si riferisce alla terapia con plasma iperimmune, una sperimentazione avviata all’ospedale Poma di Mantova dallo pneumologo Giuseppe De Donno insieme all’infettivologo Salvatore Casari e ad altri colleghi di Pavia. In sostanza, il dirigente medico ha proposto di usare il sangue dei malati di coronavirus guariti per poi passare gli anticorpi dal paziente guarito a quello malato.
Terapia già utilizzata
Gismondo ha precisato che si tratta di una terapia già utilizzata durante la pandemia in Cina ma è anche “una metodologia terapeutica (immunizzazione passiva) impiegata da più di cento anni”. In un intervento su Il Fatto Quotidiano, la virologa ha spiegato che è già disponibile per l'epatite B, il botulismo infantile, la rabbia, il tetano e il vaiolo solo per fare qualche esempio. E ha aggiunto che ha avuto ottimi esiti ed è una intuizione applicativa molto intelligente.
“Ovviamente qualsiasi nuovo utilizzo va sperimentato rigorosamente - ha evidenziato Gismondo -, ma è ingiustificato scientificamente (tralasciando di ricordare le auspicabili buone maniere tra colleghi) fare dichiarazioni denigratorie contro lo sperimentatore, soprattutto prima di aver visto i risultati definitivi della sperimentazione”. La virologa ha quindi elogiato la bontà della proposta di De Donno, il quale è stato premiato con buoni risultati visto che è in atto una mobilitazione a creare banche di sangue dei guariti.
L’audizione di De Donno
Lo pneumologo si è detto meravigliato davanti all’accanimento contro l’uso del plasma iperimmune da parte di molti scienziati, i quali “hanno detto delle baggianate - ha proseguito il dirigente medico - tra le più grandi che uno scienziato possa mai sentire”. Ieri nel corso di un'audizione informale davanti alla Commissione Igiene e Sanità del Senato, De Donno è intervenuto sulla vicenda. E si è detto contrario alla decisione dell’Aifa di affidare all’ospedale di Pisa uno studio nazionale per valutare l’efficacia di questo trattamento.
"Noi siamo stati capofila - ha ribadito lo pneumologo -. Chiunque potrà dire la sua, ma sarà sempre secondario a quello che hanno fatto Mantova e Pavia.
In piena guerra non c'è il tempo di costruire uno studio controllato e randomizzato". Infine, ha ricordato che una dose di plasma è in grado di far guarire due pazienti, quindi la questione della disponibilità è un problema secondario.
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