La giustizia deve ripartire. L'avvertimento del Ministro, e cioè la minaccia dell'Europa di fermare i finanziamenti se non vi sarà la riforma della giustizia, è tutt'altro che privo di concretezza: il sistema economico, per poter funzionare, deve essere supportato da una giustizia che sia in grado di far rispettare i patti, di garantire la trasparenza delle operazioni finanziarie, di far sì che i debiti siano pagati. Per questo le riforme del processo civile sono determinanti, sono la condizione indispensabile per la ripresa dell'economia.
Ma non meno indispensabili sono le riforme del processo penale e del Csm. L'attuale assetto della prescrizione, per esempio, fa sì che i processi non finiscano mai, e che una persona resti nell'incertezza anche per tutta la vita. Ciò non può non allontanare gli investitori stranieri che, richiedono certezza, o quantomeno, prevedibilità nel momento in cui immettono denaro nel nostro Paese. È altrettanto vero che la certezza deve riguardare anche il rispetto delle regole, l'eliminazione dell'economia sporca, la tutela dei patrimoni e della buona fede. Per questo ci vuole efficienza, la equa tutela della vittima, ma anche dell'accusato.
Peraltro, una formula per la prescrizione che sia funzionale, e coerente, può trovarsi facilmente senza le complesse proposte che stanno emergendo: nel diritto la complessità porta sempre incertezza e confusione. Il problema della «vecchia» prescrizione era che si calcolava sull'intero corso del processo, cosicché spesso, dopo il primo grado, arrivava in appello e in Cassazione in limine mortis. Basterebbe prevedere i tempi di prescrizione distinti per fasi e gradi del giudizio: indagini, tribunale, ecc.
Sembrerebbe che tutto questo nulla abbia a che vedere con un diverso Consiglio superiore della magistratura. Non è così. Le norme sono pezzi di carta che prendono vita solo nelle mani dei magistrati e, per la loro parte, degli avvocati. Se al merito si preferisce l'appartenenza, se il gioco delle correnti decide i vertici, l'efficienza, il rispetto delle regole, ne soffrono. Per questo le riforme vanno in parallelo.
Ma tutto ciò basta per ripartire? La risposta non può che essere: no, e ne spiego le ragioni. Si deve investire nel sistema giudiziario, in strutture, in personale, in diligenza sul lavoro. I tribunali sono aperti quasi sempre per mezza giornata, i cancellieri sono a tempo limitato, mancano i magistrati, ci sono posti scoperti da anni. I magistrati fanno altro, nei ministeri, in politica, come consulenti di commissioni. Tutti i magistrati debbono tornare a fare il loro lavoro, e comunque non sarebbero sufficienti. Ci vogliono nuovi concorsi in tempi brevi.
Finalmente si può ripartire? Non ancora, perché il sistema-giustizia ha una palla al piede che rischia di frenarlo, una sabbia che blocca i congegni: il carico di lavoro da smaltire. Un tempo c'erano valvole di sfogo che riportavano i numeri in equilibrio, a entità ragionevoli. Una di queste valvole era la prescrizione che azzerava via via i reati meno rilevanti. L'altra era l'amnistia. I decreti di concessione di amnistia (o dell'indulto), dal 1942 al 1990, sono stati trentaquattro, poco meno di uno all'anno. Sono vent'anni che non vi sono più né amnistie (né indulti). C'è chi storcerà il naso dicendo che i reati vanno puniti, e che i colpevoli debbono stare in galera. Chi lo nega. Il fatto è che le cose non stanno così. La selezione dei reati da perseguire la fanno i Pubblici ministeri lasciando nei cassetti alcuni fascicoli, e accelerando le indagini per altri. La prova è che in alcune Procure i capi degli uffici hanno fatto delle liste di priorità. L'amnistia, almeno, è uguale per tutti, non fa distinzioni politiche e d'altro genere.
Troppo spesso la giustizia è stata usata come uno strumento elettorale per acquisire consensi tendenzialmente emotivi: è auspicabile che, almeno questa volta, il Parlamento si proponga di scegliere la strada dell'intervento «necessario», e non di quello «gradito» a questo o a quel partito. Ha scritto di recente un giurista: la giustizia è una faccenda troppo seria per lasciarla ai politici. Speriamo che non sia così: questa, comunque, è la democrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.