Gabriele Del Grande ha tenuto una conferenza stampa per raccontare il suo arresto e le due settimane di detenzione nelle carceri in Turchia.
"Non sono un eroe, non mi piace l'idea che un arresto cambi il valore di un lavoro e chiedo di essere giudicato per il mio lavoro, quello che ho fatto e che farò", ha esordito il giornalista nella sede della Stampa estera a Roma.
Il fermo
"Non ho ancora avuto accesso al mio fascicolo né i miei avvocati, quindi non so perché sono stato fermato, quello che posso dire è che sono entrato con un passaporto regolare e un timbro regolare, non volevo andare in Siria e non sono stato fermato al confine - ha spiegato il 35enne lucchese - È stata una situazione grave, di violazione delle libertà fondamentali come individuo e come giornalista".
"Ero in un ristorante in una città Rihanli, vicino al confine con la Siria quando sono stato fermato. Non stavo entrando ad Idlib o in teatri di guerra. Si sono presentati otto agenti in borghese che ci hanno mostrato un distintivo, e poi portato in commissariato", ha aggiunto Del Grande.
La detenzione
"Non c'era un traduttore e io non parlo turco, perché lì io incontro siriani e parlo arabo. Sono stato interrogato in una lingua con un arabo e sono stato costretto a firmare un verbale in turco di cui non ho nessuna copia, e su cui mi hanno fatto domande mentre ero in isolamento", ha detto il reporter.
"Ringrazio tutte le persone che si sono mobilitate e che mi hanno fatto forza, soprattutto negli ultimi 12 giorni di isolamento. Solo il fatto di sapere che fuori c'era una certa solidarietà non solo istituzionale dava motivo di coraggio e forza", ha raccontato Del Grande all'indomani della sua liberazione.
Giornalisti incarcerati
"Non sono un corrispondente di una tv o di grande gruppo editoriale, sono una figura ibrida e ho sempre fatto il mestiere così. Stavo facendo un lavoro di ricerca e non ho mai avuto bisogno della tessera stampa internazonale. Il mio obiettivo è portare a casa delle storie e un pezzo di mondo", ha precisato.
"Io sono stato il numero 175 tra i giornalisti presenti nelle carceri turche, secondo i dati ufficiali. Faccio quindi appello (alla Turchia, ndr) perché liberi tutti i giornalisti.
A me è andata bene, perché le forze diplomatiche si sono mobilitate, ma ci sono tanti colleghi ancora presenti in carcere" - ha concluso il giornalista - Non è accettabile essere incriminati per il lavoro che si svolge. La gente deve sapere".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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