Cinque stelle e mille contraddizioni. I dieci anni del movimento fondato da Beppe Grillo sono un'antologia di smentite, inversioni a u, cambi repentini - e opportunistici - di posizione. L'ultima clamorosa marcia indietro è arrivata in questi giorni, con il via libera dei vertici del movimento alla ricandidatura di Virginia Raggi al Campidoglio. Alla faccia del limite dei due mandati, ex bandiera pentastellata sventolata in faccia ai professionisti della politica. È l'eterogenesi dei fini: volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e ora sono dei pesci in barile professionisti del trasformismo, consapevoli che non avendo avuto un lavoro prima della loro esperienza politica, difficilmente ne avranno uno dopo. Quindi meglio attaccarsi alla poltrona, spedendo un sonoro vaffa a tutti i vecchi principi da campagna elettorale. Ma è sempre stato così: la storia del vis à vis tra i grillini e la politica reale è una collezione di capitolazioni. La vita fuori dal blog è diversa da quello che immaginavano. Volevano la democrazia diretta, «la casa di vetro», e sono divenuti un movimento opaco, gestito da una azienda privata che usa Rousseau solo per confermare le decisioni prese dai papaveri di partito, possibilmente di soppiatto e nel mezzo di agosto, come succederà oggi per coalizioni e mandati. Salivano sulle barricate No Tav e ora viaggiano in alta velocità verso Lione. Volevano trasformare l'Ilva in una coltivazione di cozze (!) e adesso se Di Maio va a Taranto devono blindarlo in una zona rossa come se ci fosse il G8, altrimenti gli elettori traditi lo accoppano. Volevano mettere i Benetton sulla gogna e poi li hanno fatti entrare nel salvataggio di Alitalia e gli hanno pure fatto inaugurare il ponte Morandi (ora San Giorgio). Sognavano un'Italia sovrana e adesso ogni mattina si genuflettono verso Pechino venerando Huawei e il sacro 5G. Giuravano e spergiuravano di non allearsi con nessuno, si sono alleati con tutti quelli che detestavano e insultavano: da Matteo Salvini («Allearsi con loro? Fantascienza», Roberto Fico, 2017) al Pd («Mai col partito di Bibbiano», Luigi Di Maio, 2019) fino a Matteo Renzi («Ebetino», «Ballista», «Fai schifo», «Scrofa ferita», Beppe Grillo, nel corso degli anni). Ma forse l'immagine più efficace dell'innocenza perduta è quella di Toninelli che batte in ritirata da un baretto di Roma, mentre una folla inferocita gli chiede conto delle giravolte del Movimento.
E ora la ciliegina sulla torta della Raggi che si prende il terzo mandato (ne ha già fatto uno da consigliera), come se non avesse avuto abbastanza tempo per devastare la Capitale. È facile prevedere che anche gli elettori si prendano una doppia libertà: quella di mandarli due volte a quel Paese.
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