"I boss nigeriani sempre più forti, rischiamo altri casi come quello di Pamela"

Secondo il legale della famiglia di Pamela Mastropietro Innocent Oseghale potrebbe essere legato ai culti nigeriani: "Impossibile che abbia fatto tutto da solo, agì per conto dei clan"

"I boss nigeriani sempre più forti, rischiamo altri casi come quello di Pamela"

A guidare il sodalizio criminale sgominato nei giorni scorsi in Emilia Romagna era un dj di musica afro beat. Per tutti era Boogie. Per i suoi affiliati, invece, Emmanuel Okenwa, era il "re di Ferrara". Il capo della costola ferrarese dei Viking, uno dei più violenti "cult" nigeriani, manovrava chili di cocaina, ordinava estorsioni, aggressioni ai clan rivali e faceva prostituire decine di connazionali.

La violenza è il minimo comun denominatore del gruppo, tra riti di affiliazione, intimidazioni e punizioni per chi violava le regole del clan. Proprio l’assalto del 2018 ad un componente di una gang rivale, gli Eye, colpito con un machete, ha fatto avviare le indagini che hanno portato mercoledì scorso al fermo di 52 cittadini africani. "Ormai la mafia nigeriana si è infiltrata e radicata nel nostro tessuto, occorre accendere i riflettori su questo fenomeno, perché essa è tra le più pericolose", ci dice al telefono l’avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia di Pamela Mastropietro, la giovane uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel gennaio del 2018 dal pusher nigeriano Innocent Oseghale. Due settimane fa la Corte d'assise d'Appello ha confermato la sua condanna all’ergastolo. Ma ora, ci spiega Verni, la procura di Ancona vorrebbe vederci chiaro anche sugli eventuali legami tra Oseghale e i cult.

L'ipotesi è che Oseghale potrebbe non aver fatto tutto da solo?

"La Procura generale di Ancona sta rivalutando alcuni aspetti che a Macerata erano stati interpretati diversamente, forse anche assieme ad altri coperti da segreto istruttorio. Dal canto nostro, abbiamo sempre insistito sul fatto che Oseghale difficilmente possa aver fatto tutto da solo: qualcuno deve averlo aiutato, dentro o fuori quel maledetto appartamento."

Cosa ve lo fa pensare?

"Il fatto stesso che abbia lasciato i due trolley sul ciglio della strada potrebbe lasciar intendere che questi dovessero essere presi da qualcun altro. Altrimenti, non avrebbe avuto senso dedicarsi al depezzamento chirurgico del corpo di Pamela, alla sua disarticolazione, decapitazione, scarnificazione, esanguamento, all’asportazione di tutti gli organi interni (ad oggi, peraltro, non si trova il venti per cento della pelle, quella del collo anteriore in particolare), per abbandonare poi le valigie sul bordo di una strada qualsiasi alla mercè di chiunque. Due tracce comportamentali troppo diverse tra loro, che non si spiegano. Se non col fatto che, invece, qualcuno avrebbe dovuto completare l’opera recuperando i suddetti trolley per portarli chissà dove e farci chissà cosa. Poi, evidentemente, qualcosa è andato storto. Ma ci sono anche altri elementi che lasciano intendere che Oseghale possa far parte di una qualche organizzazione criminale di tipo etnico."

Quali?

"Alcuni segni che ha sul corpo sembrano testimoniare l’affiliazione ad un clan. E poi le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, suo compagno di cella per un certo periodo, a cui proprio Oseghale avrebbe confessato, oltre che l’omicidio di Pamela e la partecipazione di uno degli altri due nigeriani inizialmente indagati con lui, anche di far parte proprio della mafia nigeriana, a cui si sarebbe unito tramite una cellula di Padova. Di recente, inoltre, sono spuntati anche dei tabulati telefonici che dimostrerebbero dei contatti tra Oseghale e alcuni suoi connazionali, alcuni con gravissimi precedenti penali, a Padova e vicino Castel Volturno, comune noto per essere la base, in Italia, proprio della mafia nigeriana. Non è finita. Fa riflettere il fatto che gli interpreti nigeriani hanno lasciato incompiuto il lavoro di traduzione di alcuni atti, forse per timore di ritorsioni. Infine, secondo le dichiarazioni degli stessi nigeriani inizialmente coindagati, Oseghale avrebbe sezionato altri corpi in Nigeria, dove sarebbe stato a capo di un’organizzazione criminale locale."

Magari con tentacoli in Italia?

"Ormai la mafia nigeriana è tra le più potenti e pericolose. È diffusa su tutto il territorio e ha il suo epicentro a Castel Volturno, comune del Casertano, importante snodo di smistamento di persone e sostanze stupefacenti. I cults operano secondo vere e proprie strutture militari e tutti hanno un filo diretto con le organizzazioni corrispondenti in Nigeria, cui devolvono periodicamente importanti somme di denaro. Per entrare a far parte del gruppo, come ha evidenziato anche l’operazione di Ferrara, bisogna superare un durissimo rituale di affiliazione, fatto di sevizie e torture fisiche e psicologiche di vario genere. Negli anni, inoltre, è proprio ai nigeriani che le nostre mafie hanno "appaltato" le attività più "pericolose", come, appunto, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti, il gioco d’azzardo, la clonazione di carte di credito, l’accattonaggio, ricevendo delle royalties, per concentrarsi su altre attività più "invisibili". Alla base della crescita di questi sodalizi c’è l’immigrazione irregolare e sbaglia chi si ostina a negare questa evidenza."

Perché?

"Innanzitutto perché le prime vittime di questa terribile organizzazione sono i migranti stessi: le nigeriane, ad esempio, che una volta arrivate in Italia vengono ridotte in schiavitù, sottoposte alle peggiori torture e messe su strada a prostituirsi. Per assoggettarle vengono sfruttati anche gli aspetti magici e fideistici, come i riti ju-ju. E chi non si adegua viene minacciata di morte."

Quindi c’è il rischio che possano verificarsi altri casi come quello di Pamela?

"In Nigeria, esecuzioni del genere sono la norma, anche se il caso di Pamela rappresenta un unicum nella storia della criminologia mondiale degli ultimi cinquant’anni.

Per combattere questa piaga non bastano le operazioni di polizia, che sono importanti, ma occorre trovare conforto poi nelle risultanze processuali. Servono pene certe e anche un’azione di tipo culturale. Altrimenti, sì, il rischio è che ci possano essere altri casi come quello di Pamela nel nostro Paese."

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