Con l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca è cambiata la natura delle campagne elettorali. I candidati tendono ad assomigliare all'elettorato cui chiedono il voto, usandone lo stesso linguaggio. La sinistra o i democratici che dir si voglia che finora avevano prevalso in quasi tutti i Paesi occidentali definiscono, con una punta di disprezzo, «populismo» il fenomeno. Ma la realtà è che si è ridotta la distanza fra candidati ed elettori, che aveva caratterizzato finora le vittorie della sinistra.
Trump, da presidente, guarderà soprattutto al popolo, cercando di risolverne i problemi e, sotto questo profilo, si può dire sia la vittoria della politica rispetto ad una concezione elitaria della stessa, ereditata dalla rivoluzione francese e degenerata in elitismo e dirigismo. In buona sostanza, la politica al servizio dei cittadini e non questi ultimi al servizio della prima, come era avvenuto finora, in particolare da noi. È un'autentica rivoluzione, destinata a caratterizzare, in tal senso e ovunque, le future elezioni, indipendentemente da dove si tengano.
Personalmente, non ritengo «populismo» una brutta parola, bensì la definizione di un modo di far politica, la formula che definisce il riavvicinamento della politica al cittadino, del quale è necessario tenere d'occhio cultura e interessi. Trump assomiglia ai suoi elettori, dei quali parla lo sbrigativo e, a volte, persino troppo spiccio linguaggio, promettendo, da presidente, di occuparsi di loro e risolverne i problemi. Trump ha vinto le elezioni perché si è rivolto ai propri elettori; Hillary le ha perse perché è stata troppo distante da loro. Aspettiamoci, senza scandalizzarcene, che, d'ora in poi, tutte le elezioni, ovunque si tengano, assomiglino sempre più a quelle che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. La sua elezione non è uno scandalo, e non produrrà quegli sconvolgimenti che la sinistra europea e i democratici americani hanno paventato e paventano.
La verità è che il mondo, con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, è cambiato e la politica ne prende atto. Inutile rammaricarsene, tanto vale farsene una ragione e comportarsi di conseguenza. Non si tratta di abbandonarsi alla demagogia, bensì di fare i conti, realisticamente, con la (nuova) realtà. Trump sarà, se terrà a fede ai propri propositi, un buon presidente e gli Stati Uniti resteranno la potenza egemone dell'Occidente democratico-liberale. Il riavvicinamento alla Russia di Putin, nella lotta al terrorismo, né è già una buona premessa e va nella giusta direzione.
Barack Obama, presidente democratico e ideologico, aveva, improvvidamente e pericolosamente, allontanato la Russia di Putin nella lotta al terrorismo islamico. Trump ha già fatto in modo di riavvicinarla, rimediando così a uno degli errori più gravi della politica estera dell'amministrazione Obama.piero.ostellino@ilgiornale.it
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