Nell'epoca dei social network tutti sono abituati a commentare (e criticare) ogni cosa con una buona dose di leggerezza: dal post sul fornitissimo armadio di Chiara Ferragni a quello sull'ultima rete di Cristiano Ronaldo fino alle promesse di maggioranza e opposizione. Sul web è la regola e fino a quando si tratta di svago, tifo o corretto confronto nell'agone politico, il problema non si pone. Ma se a essere messa in discussione è la scuola - ieri persino il Corriere della Sera si è lagnato per l'elevato impegno richiesto ai ragazzi dai compiti assegnati dai docenti durante le festività natalizie - pare opportuno fermarsi e porsi una domanda. Questo perché a essere in gioco è lo stesso principio di «autorità». Un concetto basilare in ogni Stato di diritto, visto che la legge non è, a ben guardare, che un complesso algoritmo per codificare come la Libertà di ciascuno inizi e termini dove termina e inizia quella altrui. A mettere un po' di ordine ci aiuta la etimologia di maestro: il termine latino magister ha alla sua radice l'avverbio magis, che significa «più», quindi «più grande». Ora chiediamoci: i nostri padri, i nostri nonni avrebbero mai criticato qualcuno di «più grande»? Avrebbero mai discusso con un docente per aver bocciato o giudicato insufficiente la preparazione del proprio coccolatissimo figlio o nipote? Avrebbero mai accusato il magister di chiedere troppo impegno agli italiani di domani? Quasi certamente no, perché le generazioni che ci hanno preceduto ritenevano credo con piena ragione - che la scuola fosse il luogo in cui crescere, comprendere e soprattutto imparare lo spirito di sacrificio, farsi «imprimere» la mente e l'anima da chi conosce di più, così da poter ambire anche a un tenore di vita migliore. Qualsiasi genitore di un adolescente, non può che ringraziare i docenti che non risparmiano sforzi per insegnare in aula e appassionare i ragazzi, e che di conseguenza chiedono sia durante l'anno scolastico sia nelle vacanze - il massimo impegno. Studium significa, infatti, «passione» ed «entusiasmo», senza cui resta quasi preclusa ogni meta personale o professionale che sia. Nessuno nega il meritato riposo o la bellezza delle ore trascorse sulle piste da sci, ma per i nostri figli oggi mi pare prioritario imparare a esprimersi, a scrivere, a fare di calcolo, a ragionare e a sognare. Altrimenti non potranno fare altro che rinchiudere le proprie emozioni e pensieri in un like o un emoticon, più o meno corrucciato. Per pubblicare un video su TikTok con il viso semi-coperto dalla telecamera anteriore del cellulare, non occorre certo padroneggiare la consecutio temporum, l'algebra o Esiodo ma per affrontare il mondo con consapevolezza credo possano essere di aiuto. In ogni caso non è certo lo Stato o il governo a dover regolare i compiti a casa.
Senza contare che, se gli adulti sono i primi a non riconoscere più la figura del magister, difficilmente si potrà pretendere questa consapevolezza dai giovani, nella formazione scolastica come nella loro educazione tra le mura domestiche. E questo è, forse, ancora peggio.
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