Davvero Silvio Berlusconi è meno atlantista di prima? Tutti coloro che si sono gettati a pesce sulle sue opinioni sulla guerra in Ucraina e le sue valutazioni su Zelensky, fanno di tutto per dichiararlo fuori gioco come se l'atlantismo fosse un articolo di fede e non il frutto della libertà di ragionamento e di opinione. Io ricordo benissimo, nei tempi di George Bush, quanto fosse forte e quasi scatenato il suo spirito atlantico e filoamericano di un filoamericanismo che non era neppure schierato con i repubblicani, perché ricordo perfettamente il momento della sua simpatia, ricambiata, per il presidente Bill Clinton.
E naturalmente tornano alla memoria il suo splendido discorso davanti al Congresso degli Stati Uniti e tutti i suoi interventi davanti al Parlamento europeo e nel partito popolare europeo. Basterebbe a dimostrare quanto sia rimasto sempre totalmente leale, oltre che fedele all'Alleanza atlantica, il fatto di aver sempre dato indicazione di voto ai suoi deputati sia nel Parlamento di Strasburgo che in quello italiano di votare sempre come l'Europa, anche per quanto riguarda la guerra in Ucraina che ha esplicitamente condannato come un atto irragionevole e deplorevole. Quindi le sue manifestazioni di opinione e le sue valutazioni politiche e storiche sono quelle di un uomo che esercita la sua conoscenza e la sua libertà, pur restando perfettamente aderente a tutti i principi e alle idee guida della stessa comunità che è, insieme, occidentale, atlantica, europea, senza tentennamenti ma con rispettate e rispettabili valutazioni delle cause degli effetti.
Spesso la comunità occidentale e atlantica è riuscita semmai a ferirlo, come accadde nel caso della Libia quando, sia Obama che Sarkozy, con atti di pura violenza distrussero un rapporto lungamente costruito proprio da Berlusconi con Mohammad Gheddafi per raggiungere una migliore autonomia energetica e per governare l'immigrazione. In quel caso ci fu una losca unanimità sia internazionale sia delle sinistre italiane oscenamente entusiaste del linciaggio disumano cui fu sottoposto il dittatore libico, anche perché quel genere di opinione pubblica godeva e brindava alla morte di un alleato di Berlusconi. E non ci fu verso di anteporre la logica all'odio, l'interesse nazionale al piacere di distruggere il bene. E poi certamente c'è da considerare un aspetto umano che tutti conoscono e che è tanto antico quanto autentico, quello del legame di amicizia con Vladimir Putin che nacque agli esordi di questo presidente russo dall'aspetto sportivo e occidentalizzante quando affermava, davanti al Parlamento bavarese a Monaco, di sentirsi occidentale come tutta la Russia e Berlusconi assunse nei suoi confronti un atteggiamento fraterno, se non addirittura paterno, perché lo scopo della sua politica era quello di creare una condizione di pace duratura che chiudesse tutte le ferite della guerra fredda e permettesse il massimo volume di scambi commerciali fra l'Europa e la Russia e in particolare tra Mosca e l'Italia.
Ma non c'è stata occasione in cui Berlusconi non abbia aderito alle iniziative sulle sanzioni e sulle spese anche militari rese dolorosamente necessarie dall'aggressione all'ucraina. Ciò che è accaduto in questi giorni è stato un atto di sincerità personale unita a un altrettanto sincero dolore per una guerra nata da un grave errore del presidente Putin e poi avviata verso un destino ignoto.
Non ho nessun diritto a dichiararmi il testimone di alcunché, ma certamente ho visto gli anni in cui stava costruendo le premesse di quella che doveva essere la pax berlusconiana. Posso dire di vedere oggi lo stesso uomo di ieri, ma con molta più amarezza per gli sviluppi per lui dolorosissimi di molte politiche estere sia a Mosca che in Occidente.
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