I furbetti del bel tempo

Attenzione, il partito di chi vuole boicottare i referendum sulla giustizia sta facendo le sue mosse

I furbetti del bel tempo

Attenzione, il partito di chi vuole boicottare i referendum sulla giustizia sta facendo le sue mosse. È un piano di fuga, verso il mare. L'architrave è una data, quella che Luciana Lamorgese, ministro dell'Interno, ha sussurrato a chi nel Pd chiedeva qualche rassicurazione. Il giorno da segnare sul calendario è domenica 12 giugno. È strategico. Ecco quando si dovrà dire sì o no ai quattro quesiti sopravvissuti al verdetto della Corte Costituzionale. Si voterebbe insieme ai ballottaggi delle amministrative. È un «election day» temperato, che non cade a fine maggio quando si svolgerebbe il primo turno delle elezioni comunali. Perché dopo e non prima? L'idea è di ridurre l'effetto trascinamento (l'astensione ai ballottaggi è più alta) e avvicinare i referendum all'estate. È un trucco e non ci piace.

Tutto questo serve a rendere il più difficile possibile il raggiungimento del quorum. È una partita in contropiede, dove non si gioca per far vincere i «no», ma per disinnescare il pericolo, delegittimando alla base l'azione politica referendaria. L'obiettivo finale è certificare il fallimento di Matteo Salvini, un po' come accadde con Renzi con le riforme istituzionali. È un arrocco e serve a cristallizzare la crisi del potere giudiziario. Non conta il caos. Non importa la perdita di autorevolezza della magistratura, il messaggio è che quel mondo deve restare irriformabile. Non sarà il peso politico di un voto popolare a cambiare le cose. Il grande alleato dei «conservatori» sarà il bel tempo.

Il Pd finora è rimasto sul vago, ma si sta orientando verso il «no». La parola d'ordine potrebbe però essere il vecchio «andate al mare». Il 12 di giugno servirebbe proprio a favorire questo messaggio, scommettendo sulla spensieratezza del fine settimana di tarda primavera, sul peso di anni di pandemia, sul chi se ne frega degli intrecci tra politica e giustizia, sul «non è tempo questo di grandi scelte». È una scommessa che in passato non sempre ha portato fortuna.

Era il 9 giugno del 1991 quando Bettino Craxi per una volta si mostra davvero poco lucido. Non sente il senso di quello che sta accadendo. In ballo ci sono i referendum promossi da Segni e Pannella per cambiare la legge elettorale. È la stagione del maggioritario che apre il primo varco nella roccaforte della Prima Repubblica. L'anno prima erano andati a monte un paio di referendum (caccia e pesticidi) e i sondaggisti vicini al Psi registravano un clima di estraneità e di stanchezza. Craxi, per vocazione riformista, punta tutto sulla difesa dello status quo. Eccolo, anche allora, l'arrocco. Agli italiani dice: andate al mare. Non ci vanno. Votano 27 milioni di italiani, più del 60 per cento, e vince il sì con il 95,6%. È una lezione dimentica.

Ora il Pd, passando per il ministro Lamorgese, sembra voler indicare quella stessa strada. È, paradossalmente, l'omaggio inconsapevole e sciagurato a un antico nemico. È come evocare, proprio sulla giustizia, una vendetta postuma.

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