I giudici sono in ritardo, e gli 'ndranghetisti vengono scarcerati

Degli appartenenti al crimine organizzato in Calabria (già condannati in due gradi di giudizio) sono stati scarcerati perché i giudici non hanno depositato in tempo le motivazioni della sentenza

I giudici sono in ritardo, e gli 'ndranghetisti vengono scarcerati

Uomini della 'ndrangheta scarcerati perché i giudici sono in ritardo e non hanno scritto la sentenza in tempo.

La storia sembra incredibile ma è vera e arriva dalla Calabria, dove, come racconta Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa, alcuni appartenenti alla criminalità organizzata, già condannati nei primi due gradi di giudizio, hanno potuto farla franca perché in undici mesi il magistrato competente non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza.

Tutto ha inizio nel 2010, quando il processo "Cosa mia" sulle attività malavitose di alcune famiglie della piana di Gioia Tauro aveva trascinato sul banco degli imputati figure di primo piano nel crimine organizzato, cui erano contestati complessivamente 52 omicidi e altri 34 tentati omicidi fra gli anni Ottanta e Novanta, oltre alla gestione di un elaborato sistema tangentizio.

Con tempi insolitamente rapidi, nel 2013 la corte d'assise aveva emesso 42 condanne per oltre trecento anni di carcere e oltre 3200 pagine di sentenza, mentre i giudici d'appello a luglio dell'anno scorso ne avevano confermato l'impianto.

Peccato che da allora siano trascorsi undici mesi, senza che il giudice abbia mai depositato le motivazioni della sentenza. Impedendo così il passaggio in Cassazione prima della scadenza dei termini della carcerazione preventiva, che invece sono ormai sopraggiunti, permettendo agli uomini e alle donne della 'ndrangheta di lasciare la prigione.

Gli altri casi analoghi

E quello di "Cosa Mia" non è l'unico caso. A Catanzaro si celebra in questi giorni il processo Revenge, che sarebbe dovuto iniziare nel 2011 ma è slittato di ben sei anni perché non si riusciva a comporre il collegio giudicante.

E il procedimento contro i caporali di Rosarno, iniziato invece oltre sei anni fa, non è ancora arrivato alla sentenza di primo grado.

Altrettanti esempi di una giustizia che fatica a camminare in un territorio in cui invece dovrebbe correre.

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