I nuovi equilibri al tavolo da poker della politica Ue

In politica, come nel calcio, a fare la differenza è la posizione in campo

I nuovi equilibri al tavolo da poker della politica Ue
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In politica, come nel calcio, a fare la differenza è la posizione in campo. E ieri l'Italia si è trovata al momento giusto a un incrocio nevralgico della politica europea. La foto del pre-vertice europeo organizzato di prima mattina rende l'idea: intorno a un tavolo Olaf Scholz, Emmanuel Macron e i capi della nomenklatura di Bruxelles, Ursula von der Leyen e Charles Michel. Con loro il premier ungherese Viktor Orbán e Giorgia Meloni.

La premier italiana è diventata, come ha scherzosamente suggerito Romano Prodi, una specie di assicurazione sulla vita (politica) della Von der Leyen. Ma è anche la leader che sta traghettando il partito di Orbán in un passaggio per molti versi delicato: l'approdo al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei. Il risultato è stato un accordo lampo (annunciato sui social poco dopo le 11) su un tema, quello degli aiuti all'Ucraina, che aveva già fatto saltare più di un vertice e che tutti pensavano destinato a trascinarsi almeno fino alla tarda serata.

L'intesa era già stata abbondantemente preparata nelle ore della notte tra mercoledì e giovedì e da un intenso lavorìo sotto traccia, fatto di incontri e di indiscrezioni, nei giorni precedenti. Compresa la voce pubblicata dal Financial Times, in cui si parlava di una decisione ormai raggiunta a Bruxelles: un vero e proprio piano d'attacco contro l'economia ungherese nel caso Budapest avesse rifiutato ancora una volta il pacchetto di sostegno a Kiev. Era il segno che il malumore contro le tattiche negoziali di Orbán aveva raggiunto livelli inediti. Tanto che si era tornati a parlare dell'arma atomica: l'utilizzo dell'articolo 7 dei trattati che avrebbe privato l'Ungheria del diritto di voto a livello europeo.

Quanto al principale interessato, Orbán stesso, da bravo pokerista, aveva già valutato forza (e debolezze) della propria mano di carte. Per entrare nei Conservatori Europei dopo il voto di giugno, secondo programma, aveva bisogno del via libera dei polacchi del Pis, intransigenti anti-putiniani, e non poteva dunque alzare troppo la voce a favore di Mosca. Lunedì, a mo' di segnale, ha inviato per la prima volta dall'inizio della guerra il proprio ministro degli Esteri in terra ucraina per incontrare il suo collega di Kiev. Non proprio una rimpatriata tra vecchi amici (i toni, anche sul problema della minoranza magiara, sono sembrati abbastanza sostenuti), ma almeno un primo passo. Che i polacchi hanno mostrato subito di accogliere. Martedì l'ex premier, uno dei leader del Pis, Mateusz Morawiecki, si è detto favorevole all'ingresso di Fidesz nel gruppo dei Conservatori. Orbán ha agito di conseguenza: ha accettato il pacchetto di aiuti legandolo a controlli tutto sommato all'acqua di rose. Nulla di simile a quella ridiscussione annuale che sembrava volere e che gli avrebbe affidato una sorta di veto perpetuo sul bilancio dell'Unione.

La questione è, dunque, per il momento, nel merito, risolta. Resta la suggestione legata alla presenza della Meloni al vertice decisivo.

Che sembra alludere ai nuovi equilibri politici europei legati alla tornata elettorale di giugno. Peseranno i voti e la capacità di manovra dei diversi leader. E il risultato è tutt'altro che prevedibile. Anche per gli stessi giocatori in campo.

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