Quanta dignità trasuda dai volti dei sopravvissuti di Amatrice e Accumoli. È pari alla boria giustizialista dei soliti giornalisti tromboni, di tecnici ed esperti improvvisati che tutto sapevano e che tutto vogliono sapere. Siamo alla follia di paragoni con l'efficienza del Giappone, nelle cui campagne a rischio sismico ci sono pagode in legno e non palazzi monumentali e secolari. Siamo al pressing per convincere l'opinione pubblica che Amatrice e Arquata erano abitate e amministrate da una banda di malfattori incapaci e furbetti. Siamo all'ipotesi di qualche procuratore di indagare anche i privati. Siamo, come ha scritto ieri in un illuminante fondo su Il Messaggero di Roma il magistrato Carlo Nordio, all'aberrante tentativo «di veicolare il dolore e la rabbia verso persone e istituzioni per individuare colpe di tanta tragedia».
Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo. Ci saranno stati anche atti colposi cosa tutta da accertare ma l'unica vera colpa di quella gente è di aver voluto (e di continuare a volere) caparbiamente e antistoricamente presidiare territori fragili e antiche costruzioni miracolosamente sopravvissute ai secoli e, fino a ieri, alla violenza della natura. Gente che ha pagato con la vita questa lucida follia che noi da turisti, e da italiani, abbiamo apprezzato e sfruttato. Prendersela con i morti e con i sopravvissuti per caso, andare a cercare omissioni formali e aghi nel pagliaio della vita vorrebbe dire, come scrive ancora Nordio «convertire la giustizia in oltraggio». Senza contare che all'Aquila, su duecento fascicoli aperti, solo 19 sono andati a processo e, per ora, pochi sono i condannati.
Non basta il prezzo in sangue con cui quelle comunità hanno pagato financo errori ed omissioni compiute, nella stragrande maggioranza dei casi, per sana ignoranza, per impossibilità economiche, per sfinimento di fronte a leggi complicate e ambigue, a una burocrazia evasiva e lontana? No, dobbiamo pure colpevolizzarle, indagarle e magari incarcerarle, queste persone semplici e volonterose. Siamo al Golia contro Davide, lo Stato gigante contro il cittadino nano. Facile scrivere articolesse per infangare sindaci e amministratori poco più che volontari a cui i governi hanno tagliato fondi e risorse. Semplice usare, a posteriori, il codice penale come una clava.
E bizzarro è dire, come ha fatto ieri il vescovo di Rieti ai funerali di Stato, che a uccidere non è il terremoto ma sono le opere degli uomini. La natura faceva stragi anche quando gli uomini vivevano nelle caverne. A colleghi, magistrati e vescovi consiglio il rispetto per i morti e per i vivi. Noi stiamo con i Davide, e questa è la nostra fionda.
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