La variante inglese, già di per sè più infettiva del ceppo originario di Wuhan, provocherebbe anche un'infezione più lunga: 13 giorni contro gli 8 del virus "originale".
Cosa dice lo studio americano
È questa la novità di uno studio americano condotto dalla Harvard University su 65 individui sottoposti a test di sorveglianza quotidiana di cui sette infettati con B.1.1.7 (il codice della variante inglese): per questi 7 individui, infatti, la durata media complessiva dell'infezione (proliferazione del virus più eliminazione) è stata di 13.3 giorni rispetto ad una durata media di 8,2 giorni per coloro i quali non erano infettati dalla variante. "Questi dati offrono la prova che la variante B.1.1.7 del Sars-Cov-2 può causare infezioni più lunghe con concentrazione virale di picco simile rispetto al virus non mutato. Questa durata estesa può contribuire alla maggiore trasmissibilità di B.1.1.7", scrivono i ricercatori americani. Ancora, però, le ragioni di questa maggiore trasmissibilità non sono chiare: in termini tecnici, la variante presenta "mutazioni multiple nel dominio di legame del recettore della proteina spike 1 che possono migliorare il legame 2 di ACE-2 , aumentando così l'efficienza della trasmissione del virus. Anche un carico virale maggiore o più persistente nel rinofaringe potrebbe aumentare la trasmissibilità", aggiungono gli studiosi.
"Dobbiamo capire meglio"
Insomma, con la variante inglese la malattia durerebbe di più? "Tutto è possibile: che la variante inglese sia più contagiosa vuol dire che è presente con una quantità maggiore di virulenza e potrebbe spiegare, in parte, anche il fatto che la malattia dura di più. Attenzione, però, bisogna spiegare cosa significa durare di più: se significa avere per più tempo un tampone positivo è una cosa, se durare più a lungo significa avere i sintomi che durano più a lungo posso dire che questa non è la mia esperienza" ha affermato in esclusiva per ilgiornale.it Matteo Bassetti, Infettivologo dell'Ospedale San Martino di Genova nonché consulente per l'Emergenza Coronavirus in Liguria. L'esperto ci racconta il decorso di alcuni pazienti con variante inglese ricoverati nel suo ospedale spiegando che "il loro quadro clinico dice che la durata dei sintomi è la stessa di chi non ha la variante inglese. Potrebbe darsi che questo lavoro, invece, sia legato alla positività del tampone, la presenza del virus a livello delle vie respiratorie per un periodo più lungo".
Quanto dura la malattia?
La durata della malattia dipende, il più delle volte, della quantità di virus presente nell'organismo e vale sia per la gravità che per la durata. "Se la mia carica virale ad inizio della mia sintomatologia, ad esempio, è cento, da quel momento sono necessari circa sette giorni per tornare a zero. Ma, se parto da mille, non saranno sette giorni ma ce ne vorranno 10-12-14 perché dovrò arrivare a zero partendo da più in alto", spiega al nostro giornale il Prof. Carlo Federico Perno, Direttore di Microbiologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Il virus della variante inglese replica di più, quindi la carica virale è più alta e per smaltirlo ci vuole più pazienza. "Il fatto che l'infezione duri di più ha una sua logica virologica precisa. Non è un problema di cattiveria del virus ma c'è più virus e l'organismo dura più tempo per liberarsene, la sua durata maggiore è legata a questo", sottolinea.
La durata media dell'infezione, quindi, si allunga. "Può voler dire il tempo in cui io rimango positivo al virus e denota la lunghezza dell'infezione, con la variante inglese potrebbe essere", aggiunge Bassetti che sottolinea come sia importante valutare se la durata più lunga di un tampone positivo porta anche ad una maggiore durata dei sintomi e ad una maggiore gravità della malattia. "Assolutamente no, faremmo un'affermazione non corretta. Cambia soltanto che tornerai più tardi a fare una vita normale e dovrai rimanere più a lungo in isolamento ma dal punto di vista clinico non cambia nulla. Se stai meglio puoi comunque tornare a casa o in una struttura extra ospedaliera dove si può fare la quarantena", precisa l'infettivologo genovese.
Come regolarsi con la quarantena?
La maggiore carica virale e durata dell'infezione che causa la variante inglese potrebbe far rivedere il protocollo usato in Italia sulla quarantena? Per il momento non c'è questa possibilità. "Non c'è ragione per allungare la quarantena che è il periodo prima della comparsa dei sintomi, non si vede perché debba essere alterato dalla variante inglese - afferma il Prof. Perno - La vera domanda è un'altra: è giusto mantenere a 21 giorni il tempo per la liberazione della persona dalla fine dei sintomi e rimandarla in giro? Questo è già più complicato perché se c'è più virus impiegherà più tempo a sparire, su questo bisogna ragionare perché se la variante inglese produce più virus e dura di più potrebbe succedere che a 21 giorni la persona abbia ancora virus in corpo anche senza sintomi. Converrebbe rimettere il tampone in uscita come garanzia che la persona non sia più infettata". Stesso pensiero anche per il Prof. Bassetti per il quale non c'è ragione di allungare la quarantena. "Fondamentalmente abbiamo 14 giorni senza tampone o 10 giorni con tampone in uscita. Io credo che sia ragionevole che chi ha contratto l'infezione faccia 10 giorni e poi tampone in uscita, con questo siamo in grado di determinare se sei infettato o meno. Poi, se ci saranno dei dati forti che il virus è completamene diverso rispetto al ceppo di Wuhan cambieremo le cose ma ad oggi non abbiamo sufficienti elementi per dire di cambiare la durata della quarantena".
Variante inglese: come difenderci?
Visto che ormai è predominante in Italia, quali sono i comportamenti che dobbiamo adottare e cosa dobbiamo aspettarci che accada? "In realtà ha tre-quattro caratteristiche chiare: è più infettiva e produce una carica virale maggiore. Sui vaccini non c'è nessuna evidenza che l'efficacia sia minore su questa variante, che sia più cattiva non lo è ma essendoci più virus può causare una sintomatologia più grave e può aumentare la durata dei ricoveri e, quindi, indirettamente produce questo effetto", ci dice Perno. Ma poi cè anche una buona notizia: "non c'è nessuna evidenza che le persone che hanno avuto il virus classico possano reinfettarsi con la variante inglese", aggiunge. L'Italia, però, rimane molto indietro in fatto di sequenziamento per sapere quali varianti girano e quanto è predominante la stessa inglese ed il Prof. Bassetti non le manda a dire. "Rimaniamo il Paese che fa meno sequenziamento del virus rispetto al resto d'Europa: 1,4 campioni ogni mille casi di Covid. L'Inghilterra ne fa 40 volte più di noi, siamo ancora indietro - ricorda Bassetti - I sequenziamenti li avevamo cominciati a fare in maniera importante tre settimane fa su indicazione del ministero ma chi può dire come era la situazione a dicembre se non si facevano se non soltanto in alcuni laboratori? Chi può dire come fosse la situazione a gennaio? C'è un errore di fondo: oggi campioniamo, prima non lo facevamo. Oggi abbiamo la variante inglese ma com'era la situazione due mesi fa? Non credo fosse tanto diversa rispetto a quella attuale, credo che la variante inglese fosse già rappresentata a novembre-dicembre".
Marzo, mese decisivo
"Bisogna fare attenzione alle prossime cinque settimane che ci diranno qual è il futuro del Covid in Italia, se avremo una terza ondata come accade in alcune Regioni dove è già assodata", aggiunge Bassetti che spiega come la differenza con la seconda ondata è che prima c'era stato un andamento più omogenio sul territorio nazionale con tutte le Regioni coinvolte; adesso, invece, sembra di essere durante la prima ondata con cluster epidemici localizzati. "Non abbiamo, per fortuna, una terza ondata che monta con un'onda unica per tutta l'Italia, è molto diversa da Regione a Regione anche in relazione alla circolazione delle varianti, in alcune è molto alta. Dovremo intervenire in maniera più precisa ed aggressiva dove le cose non funzionano con lockdown mirati di breve durata e molto rapidi. Questo è secondo me quello che accadrà nelle prossime cinque settimane".
"Impariamo ogni giorno di più"
Per un virus apparso per la prima volta soltanto un anno fa, Scienza e Medicina hanno fatto passi da gigante fino ad oggi. "Stiamo imparando man mano le nuove varianti che stanno comparendo, come è normale che sia. È un apprendimento continuo, vanno prese decisioni mentre impariamo. È chiaro che si possa dover cambiare le decisioni prese legate alle conoscenze che man mano arrivano", aggiunge il Prof. Perno, con il quale abbiamo concluso la chiacchierata con il nodo spinoso legato ai vaccini.
Cosa fare? "Da un lato c'è l'idea di vaccinare più lentamente ma ben sapendo che comporterà più morti perché sarebbero vaccinate meno persone; dall'altro c'è l'idea di dare, intanto, una dose a tutti per avere un minimo di copertura sapendo che questo potebbe portarci dei problemi più ampi. Va ragionato: dobbiamo cercare di capire qual è la situazione migliore nel contesto in cui siamo", conclude.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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