Investire nell'industria spaziale scelta vincente per l'economia

Le aziende impegnate nello sviluppo e produzione di vettori, satelliti e sistemi di controllo delle missioni sono tra quelle a maggiore intensità. Tutte le ricadute positive per il Paese

Satelliti. Vari veicoli e robot spaziali. Razzi (o, in gergo tecnico, lanciatori). Stazioni di controllo a terra. Servizi per il monitoraggio meteorologico, dell'ambiente, delle emergenze umanitarie e della sicurezza e difesa. Sono - come il cibo, il vino o il design – anche queste eccellenze del made in Italy . Prodotti di un settore - che d'ora in poi chiameremo Ispi (industria spaziale italiana) - che nel triennio 2010-2012, a dispetto di una depressione economica nazionale, ha aumentato il proprio fatturato del 9% fino a raggiungere quota 1,6 miliardi di euro. Nello stesso arco di tempo il numero degli addetti è aumentato del 3% a oltre 5.700 persone, tutte dotate di elevate competenze tecniche e scientifiche. A fornire questi dati sono il Dipartimento di scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi dell'Università di Bergamo e il Distretto virtuale dell'Agenzia Spaziale Italiana, un originale database di tutte le realtà dell'Ispi, spesso difficili da individuare in quanto suddivise in entità impegnate in esclusiva settore spazio e in componenti di aziende che operano nel più generale settore aerospaziale. Secondo una ricerca in via di completamento, in Italia si contano 56 unità produttive Ispi, delle quali circa la metà industrie spaziali pure.

Grazie a questa costellazione di aziende, l'Italia può vantarsi di possedere la terza più importante industria spaziale europea, dietro a Francia e Germania. Un business che, nel nostro Paese, detiene il primato di intensità di ricerca sia nel più vasto contesto dell'industria manifatturiera, sia in quello delle aziende high-tech. Sempre secondo l'Università di Bergamo e l'ASI, infatti, il rapporto fra spese ricerca e valore della produzione è dell'11% nell'Ispi, del 5,1% nell'high-tech, e del 0,9% nel manufacturing. Va però sottolineato che da qualche anno gli economisti hanno elaborato un concetto chiamato spillover (traboccare), secondo il quale la crescita delle conoscenze nei settori high-tech si traduce in un aumento della produttività nei settori manifatturieri. A loro volta, gli investimenti in ricerca nel mercato spaziale (che esige tecnologie all'avanguardia in tutti gli ambiti), hanno ricadute positive sulla produttività in tutti i settori industriali. Investire nell'industria spaziale, quindi, conviene a tutto il sistema Paese. Non solo perché eleva il prestigio e il peso politico dell'Italia nel mondo, ma anche perché i benefici economici, di occupazione e di spillover della conoscenza si espandono in tutto il territorio.

Se è vero che la maggior parte del fatturato Ispi è fatto da quattro grandi realtà non impegnate esclusivamente nello spazio, il resto è suddiviso in medie, piccole e micro aziende distribuite in distretti.

I più noti sono localizzati in regioni quali Lazio, Piemonte, Lombardia, Puglia e Campania. Qui si sviluppano imprese pure space (spesso spin-off di università) che, rispetto al complesso dell'industria aerospaziale, fa affidamento più su investimenti del settore pubblico che di quello privato.

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