Due sogni sono partiti da Genova e in qualche modo hanno segnato la vita dell'Italia e, molto in piccolo, anche la mia. Il primo, forse premonitore del secondo, salpò nell'aprile del 2000, su una nave del gruppo Grimaldi, prestata a un politico in cerca di riscatto dopo pochi mesi di governo, nel 1994, conclusi, guarda caso, con un'indagine della magistratura e una lunga traversata nel deserto dell'opposizione.
Il politico era Silvio Berlusconi, che nel 1994 era sceso in campo e aveva vinto, tra la sorpresa di analisti e commentatori. La nave era Azzurra, la «nave della libertà». Con lei partì, per la seconda volta, il sogno berlusconiano di cambiare la politica e il Paese. E quel sogno travolse tutto, anche le regioni rosse, tra cui la Liguria, dove il primo governatore di centrodestra conquistò la maggioranza. Era Sandro Biasotti, ancora oggi un mio leale amico. E con quella esperienza nacquero le Liste arancioni, anche in questi anni il fulcro della maggioranza del mio governo. E quel colore fortunato, nato in quel lontano inizio secolo, per i moderati liguri è diventato palestra e casa di tanti giovani amministratori che hanno fatto la differenza.
A raccontare ai telespettatori la partenza di quella nave, dal Porto antico di Genova, c'era un giovane giornalista Mediaset al suo primo incarico davvero importante. Ero io. Tra le tante cose importanti che ho fatto dopo, nave Azzurra ha un posto speciale nei miei ricordi: è in quel giro d'Italia, porto dopo porto, comizio dopo comizio, che in qualche modo si sono gettate le fondamenta della mia vita futura. La passione politica, prima di tutto, che avevo coltivato in un'altra epoca e in una repubblica precedente, da giovane socialista, fu risvegliata da un uomo che, visto da vicino, non aveva eguali, e, almeno per ora, resta imbattuto, pur con tutti i suoi difetti. Fu una campagna elettorale diversa da ogni altra. Un leader in tuta blu, camicia Oxford azzurra, scarpe da ginnastica nere, le Reebok di moda allora, sempre vestito uguale. Lo ricordo bene perché molti allora lo imitavano, come fu per le cravatte larghe di Agnelli. C'erano la banda ad accogliere la nave in ogni porto toccato e la scia di barche con bandiere tricolori a festeggiarne l'arrivo. L'immagine dell'allegria e dell'ottimismo. I bagni di folla, fino ad allora riservati solo a qualche rockstar o attore, mai a un politico italiano in quella forma. La comparsa della famiglia accanto al leader, in particolare mamma Rosa che, con la sua normalità piccolo borghese, il suo stupore per lo show messo in piedi e il successo del figlio, sottolineava meglio di qualsiasi ufficio stampa la storia straordinaria di Berlusconi. Una storia di successo, che, almeno in teoria, poteva essere emulata da chiunque ci credesse davvero. E che poteva diventare il successo dell'Italia. Quella crociera partita da Genova, da quel Porto antico ristrutturato da Renzo Piano, che oggi sta concludendo il nuovo waterfront della città, costruito da noi per celebrare simbolicamente la nuova Liguria, finì a Venezia. E finì con il mio primo pranzo a tu per tu con Berlusconi. Altra tappa importante della mia vita. Ce ne sarebbero stati infiniti altri, ma quello lo ricordo come fosse ora: il Cavaliere invitò a pranzo i giornalisti che avevano seguito a bordo la crociera per tutto il viaggio. Io ero tra questi, non una prima firma ancora, ma una seconda fila. Ero uno dei molti, e tra i meno importanti, anche se Berlusconi ti chiamava per nome facendoti sentire qualcuno. Alla fine della colazione regalò a tutti il suo ultimo libro: L'Italia che ho in mente. Ricordo che gli chiesi una dedica con autografo, non per me, ma per mia madre. E lui scrisse: «Alla signora Chicca, con tanti complimenti per suo figlio, per la strada che ha fatto e per quella che farà». Con una frase fece contenti tutti: la mamma, ovviamente, me, ma anche il suo ego. Essere un giornalista Mediaset, l'azienda da lui fondata, era un successo nella vita. Dunque, Mediaset era qualcosa di speciale. Lo è davvero. Un agosto di vent'anni dopo, in una giornata dal tempo incerto fino all'ultimo, quando spuntò l'arcobaleno per salutare l'arrivo del presidente Mattarella, il secondo sogno si materializzava. In questo secondo sogno avevo avuto un ruolo decisamente più centrale: l'inaugurazione di quel ponte San Giorgio che ricuciva la val Polcevera. In due anni avevamo rimosso le macerie, dato una casa agli sfollati, ricostruito il ponte, risarcito le imprese danneggiate da quel crollo. E di tutto questo avevamo fatto un simbolo: la Liguria non solo non era in ginocchio, tagliata in due da quella ferita, ma avevamo dimostrato che da una tragedia può nascere una nuova epoca. Quel ponte, nella creatività di Renzo Piano, ha tanti piloni disegnati come la chiglia di una nave. Per la sua apertura era illuminato con il tricolore, con la pattuglia acrobatica a salutare dal cielo il passaggio delle prime auto. Tutto realizzato da imprese e maestranze italiane. Ho collegato due eventi lontani e diversi, ma non così tanto. Quel ponte, un po' come nave Azzurra tanti anni prima, rappresenta qualcosa di nuovo. Se non un sogno, un simbolo concreto di ottimismo e fiducia. Dimostra che anche un incubo può trasformarsi in qualcosa di diverso e positivo, una storia a lieto fine per una tragedia accaduta sempre in estate, il 14 agosto del 2018. Non era un esito scontato, al contrario. Pochi credevano che fosse possibile, ma l'ottimismo dovrebbe essere la prima virtù di chi si candida a governare qualcosa. Churchill divideva il mondo tra ottimisti e pessimisti: i pessimisti vedono in ogni opportunità una difficoltà nascosta, gli ottimisti, invece, scorgono in ogni difficoltà, anche la peggiore, un'opportunità. Noi eravamo evidentemente tra questi ultimi.
La Liguria si prestava a questa rivoluzione, anzi, la voleva, tanto è vero che ci aveva fatto vincere, secondo le previsioni dell'amico Salvini e, cinque anni dopo, valutata positivamente questa politica, ci aveva confermato la fiducia con una maggioranza mai vista prima.Pubblicato per Piemme da Mondadori Libri S.p.A.
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