"Non interpreto nessuno". Joan Didion e la scrittura come performance

La giornalista e saggista americana è morta nel dicembre 2021, ma la sua storia – unica e inebriante – continua a regalare grandi insegnamenti

"Non interpreto nessuno". Joan Didion e la scrittura come performance

Avrebbe desiderato diventare oceanografa, ma da un certo punto di vista è riuscita lo stesso a scoprire quanto sia profondo il mare. Scomparsa nel dicembre 2021 dopo aver lottato contro la sclerosi multipla e il Parkinson, Joan Didion ha rappresentato e continua a rappresentare un punto di riferimento per tutti gli aspiranti scrittori e giornalisti. Ma non solo. La saggista è un simbolo del mondo rosa per la sua capacità di bruciare le tappe dell’emancipazione femminile, trovando il successo – senza scorciatoie – in un mondo dominato da uomini.

Joan Didion, un'icona eterna

Dall’esordio con “Run River” a “Let Me Tell You What I Mean”, quasi sessant’anni di carriera tra giornalismo, romanzi e saggi. Terrorizzata dalla possibile irrilevanza della scrittura, Joan Didion è riuscita a tracciare un solco sfruttando la sua creatività unica. La penna di Sacramento, infatti, è riuscita a emergere negli anni di Truman Capote e Philip Roth, diventando un modello da seguire ai piani più alti della cultura a stelle e strisce.

Joan Didion ha esplorato la cultura della sua terra – la tanto amata California, tra pregi e difetti – ed è riuscita a incanalare nei suoi scritti lo spirito degli anni Sessanta e Settanta come nessun altro. Il suo tratto distintivo è stato sicuramente la capacità di rendere universali delle storie personali, invogliando il lettore a scoprire sempre di più e, perché no, a scoprirsi. Anche attraverso stratagemmi all'apparenza banali: dalla canzone alla radio al modello di costume in tendenza, passando per la lista della spesa. In altre parole la quotidianità di tutti in una storia altrui.

Joan Didion 2

Tra le avventure di cronaca, politica e cinema, la vincitrice del National Book Award ha esplorato la “formazione” degli Stati Uniti nel dopoguerra attraverso una California croce e delizia. La sua bellezza e la sua durezza, la sua grandezza e le sue zone d’ombra, la fiducia per il futuro e un passato forse da arginare. Riflettori accesi su trouble spots, sempre. Joan Didion è scesa a patti con il disordine ed è sempre stata in linea con i tempi, analizzati con una sensibilità quasi paranoica ma assolutamente personale. Anche in questo modo ha catturato il caos e le ansie della politica americana moderna e del suo panorama socio-culturale.

L'amore con John Gregory Dunne

L’amore con il collega John Gregory Dunne ha interpretato un ruolo da protagonista anche nella vita professionale di Joan Didion. Nonostante lo stile diverso e i punti di vista spesso diametralmente opposti, i due coniugi si fidavano l’uno dell’altra e hanno spesso lavorato insieme, esplorando territori mai scandagliati prima. I due hanno firmato un gran numero di sceneggiature: dall’adattamento del romanzo “Prendila così” a “Panico a Needle Park”, passando per “È nata una stella” e “L’assoluzione”. Ma non solo.

Joan Didion 3

Come anticipato, i due – soprattutto lei – hanno indagato territori inediti. Con il suo stile unico e inimitabile, Joan Didion nei suoi pezzi ha incluso anche il racconto della sua crisi matrimoniale, delle criticità incontrate tra le mura domestiche, con tanto di divorzio tramutato in una ammaliante vacanza esotica. "Quando scrivo non credo di interpretare nessuno, perché il personaggio di uno scrittore è se stesso. Non lo considero alla stregua di interpretare un ruolo. È semplicemente un comparire dinanzi a un pubblico", spiegava con una coerenza inconfutabile.

Ogni saggio una performance

Joan Didion ha sempre creduto nell’elemento spettacolare della scrittura e ha affrontato ogni saggio come una specie di performance. Dalle Pantere Nere alla guerra civile in El Salvador, fino al processo di Patty Hearst, la californiana innamorata di Hemingway non ha mai messo la firma su un semplice reportage. In ogni suo lavoro a farla da padrona è l’eleganza austera, la profondità, la finezza. Tenacia, precisione, metodo ma soprattutto carattere. E il suo tocco inimitabile, la sua storia.

Uno spettacolo, dicevamo, anche se doloroso. Il suo racconto degli abissi della sofferenza non ha eguali e ha meritato la National Medal of Arts and Humanities, ricevuta direttamente da Barack Obama.

Nel premiato “L'anno del pensiero magico” del 2005 ha affrontato la morte dell’amato marito e la malattia della figlia Quintana. Nel 2011, invece, ha raccontato la morte della figlia in “Blue Nights”. Due capolavori, semplicemente.

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