L’America coast to coast è più bella a dieci zampe

Guido Prussia è il padrone, Jack e Baby sono i suoi cani. Attraverseranno gli States dopo un volo un po’ complicato

L’America coast to coast è più bella a dieci zampe

Il viaggio di Guido Prussia da New York a Los Angeles, con i suoi ca­ni, sarà un programma su Leonar­do Tv. Ecco il suo diario

Ero davanti al computer che stavo preparando il mio Coast to Coast da New York a Los Angeles piazzando con cura tutte le tappe intermedie: Chicago, Rapid City, Seattle, Portland e San Francisco. Sfogliavo libri a caccia di curiosità americane e seduti, immobili, con lo sguardo fisso rivolto a me c’erano Baby e Jack. Fingevo di non vederli, ma loro erano sempre lì con uno sguardo che parlava e diceva: non avrai mica intenzione di lasciarci qui?! Jack e Baby sono i miei due cani, un Boston Terrier maschio di 8 anni e una Staffordshire femmina di 4. I cani hanno una sensibilità particolare verso le valigie e verso qualunque cambiamento. Avevano capito che me ne sarei andato per molto tempo e non avevano nessuna intenzione di finire in qualche pensione ad aspettare il mio ritorno. Ed eccoli ancora lì, con lo sguardo implorante.
Un istante e abbandono le mie ricerche sul viaggio e scrivo su google: come portare i cani negli Stati Uniti. Ci vogliono certificato di buona salute, antirabbica fatta tre mesi prima e passaporto per i cani. Ce la possiamo fare. Telefono alla compagnia aerea e la risposta è incoraggiante, nessun problema a portare i cani, costa circa 150 euro per ognuno da Milano a New York, viaggeranno in stiva ed è neccario procurarsi due trasportini a norme Iata. Metto giù il telefono, lancio uno sguardo ai cani che continuano a fissarmi. «Dovete viaggiare in stiva, 9 ore di volo, da soli, in una gabbia...». Nessuna reazione. Continuano a fissarmi immobili. Ok. L’avete voluto voi. Andiamo on the road. I cani sono sensibili alla parola «andiamo» e appena la pronuncio l’eccitazione si diffonde. Arriva il giorno della partenza. Il problema più difficile da risolvere è trovare dei trasportini che abbiano i requisiti necessari al viaggio. Per la paura che i cani si sentano troppo stretti ne compro due enormi.
All’aeroporto cominciano le prove. Baby e Jack non sono mai stati in una gabbia. Baby non ci pensa un attimo e ci si butta dentro, Jack non ne vuole sapere di entrare. Ancora una volta viene fuori il loro carattere. Baby dolce e ottimista, Jack scontroso e capriccioso. Dopo il check-in accompagno i cani in un ufficio dove un signore gentile mi costringe a lasciarglieli in affidamento. Non è facile separarmi da loro. Immagino che ora qualcuno li verrà a prendere e li porterà all’interno dell’aereo in qualche luogo freddo e scuro. Mi viene un senso di colpa. Jack mi guarda e sembra dirmi: perché mi fai questo? Baby ha uno sguardo così triste che esprime solo silenzio e paura. Sto passando le pratiche doganali quando sullo sfondo, accanto al ritiro bagagli, vedo due addetti all’aeroporto di New York trasportare le due gabbie dentro le quali stanno Baby e Jack. Poi attorno alle gabbie si forma un gruppo di persone. Il funzionario mi prende le impronte ma il mio sguardo implora: faccia in fretta, la prego faccia in fretta. Poi una corsa. Il gruppo di persone era attorno alla gabbie per coccolarli. Li libero ed è gioia pura.
Dall’Italia avevo affittato una mini van, metto le gabbie nel retro e i cani sul sedile. Li guardo e tutto mi appare strano. Io, Baby e Jack a New York. Non è possibile. Mi ridico. Io, Baby e Jack a New York. È tutto vero. Più che a New York nel Queens. L’unico albergo che accettava i due cagnolini l’ho trovato a circa 40 chilometri da Manhattan, un Comfort Inn che mi concede una stanza nel sottoscala con vista sul parcheggio e chiede un supplemento di 20 dollari al giorno per cane. Compro in un supermercato i sacchettini per raccogliere i bisogni dei cani (100 dollari di multa se si lascia una cacca per terra) e via con la prima passeggiata. Ma Jack non ne vuole sapere di fare nulla. Ho un’idea. Jack è viziato. Prendo l’auto e vado a Central park: parte l’eccitazione. Baby vede per la prima volta uno scoiattolo. Jack annusa tutto. Alberi, panchine, pietre, in preda a una gioia totale e finalmente mi concede di usare il sacchettino nero. E dopo Central Park passeggiata sulla Quinta Strada. Sorpresa amara, solo un negozio mi permette di entrare con i cani ed è l’Apple Store. Questo mi costringe a mangiare hot dog su una panchina e mi permette di risparmiare sullo shopping. Il primo giorno a New York sta finendo. Prima di tornare al mio albergo ci concediamo una vista sul Queensboro Bridge. Siamo nello stesso punto dove Woody Allen vedeva spuntare l’alba nel film Manhattan. Di fronte risplende il ponte, finito di costruire nel 1909, ebbe un costo di 18 milioni di dollari e 50 vite umane. Unisce Long Island a Manhattan ed è lungo più di due chilometri.

Arriva il tramonto. Il fuso orario si fa sentire. Si torna a casa, anzi in albergo, Baby e Jack si addormentano sul sedile, la prima giornata americana sta terminando e domani si parte: direzione Newport, nel Rhode Island.

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