L'altro Colosseo, tra incuria, degrado e personale fantasma

A 200 chilometri da Roma e a 40 da Napoli sorge l’Anfiteatro Campano, secondo per dimensioni (soltanto un metro in meno) al ben più famoso Anfiteatro Flavio nella Capitale

L'altro Colosseo, tra incuria, degrado e personale fantasma

La storia insegna, ci sono momenti di splendore e periodi di decadenza. E ciò che un tempo era l’antica Capua sta vivendo di certo la fase buia della sua esistenza. A 200 chilometri da Roma e a 40 da Napoli sorge l’Anfiteatro Campano, secondo per dimensioni (soltanto un metro in meno) al ben più famoso Anfiteatro Flavio nella Capitale. L’"altro Colosseo" si trova a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Percorrere la strada che conduce ad uno dei più importanti beni archeologici al mondo tutto fa presumere fuorché la destinazione finale; la via Appia, costruita sulle ceneri della omonima arteria romana, è oggi solo una spoglia strada di passaggio, habitat di svariati bar, negozi anonimi e qualche industria. Ma quando ogni speranza di godere attimi di bellezza sembra svanita, ecco che dal nulla sorge l’Arco romano, da millenni porta d’ingresso della città. Soltanto pochi metri dopo, tra abitazioni del dopoguerra e palazzi, svetta l’anfiteatro voluto e decorato dall’imperatore Adriano, ancora perfettamente conservato ma negli anni pesantemente depredato e abbandonato. Ai piedi del secondo più grande anfiteatro al mondo giacciono i resti della prima arena, quella in cui il gladiatore Spartacus compì le sue gesta e capeggiò la rivolta degli schiavi che mise in ginocchio Roma. Di tutta quella gloria, oggi sembra rimasto poco. Soltanto pochi anni fa il piazzale antistante era adibito a zona mercato e parcheggio, e l’area ritrovo di persone poco raccomandabili. Nel 2013 l’assegnazione dei servizi di biglietteria, bookshop e ristorazione ad un consorzio privato che trasforma il luogo degradato in area attrezzata e godibile.

Ma è oltre i cancelli di ingresso al plesso archeologico che si fondono bellezza e sconforto: l’area gestita dal consorzio è curata, pulita, con un prato inglese che come per magia si trasforma in erbaccia e sterpaglie appena varcato il cancello di ingresso. Già, siamo entrati nella zona di competenza dello Stato. E’ un pomeriggio di settembre e io sono l’unico spettatore dell’arena, nonostante il ridicolo costo del biglietto: 2,50 euro. Un’unica persona che si aggira completamente in solitaria in un’area sotto la protezione dello Stato di 50mila metri quadrati. Il mistico tour procede in modo un po’ anarchico tra gli imponenti archi in mattoni e le gallerie comunicanti sotto gli spalti: decine le zone inaccessibili, perché crollate o a rischio, protette da poche transenne (con lo stemma del comune di Santa Maria Capua Vetere). Innumerevoli sono i raggruppamenti di resti marmorei, alcuni per nulla protetti. Mi avvicino ad alcuni reperti accatastati e prendo il resto di un’epigrafe. Nessun sorvegliante in giro. Potrei infilare la pietra millenaria in borsa all’istante e senza che nessuno se ne accorga. Per fortuna è soltanto un esperimento, purtroppo riuscito: qui in Campania chiunque può rubare dei pezzi di anfiteatro. Nei magnifici sotterranei la storia non cambia, l’abbandono e le erbacce fanno a botte con il sorprendente stato di conservazione delle gallerie in cui duemila anni fa i gladiatori attendevano il proprio turno per combattere. L’unica differenza è la comparsa di un secondo visitatore, anch’egli solitario, che scatta fotografie. Due ingressi in un pomeriggio di settembre nel secondo anfiteatro al mondo forse è un po’ imbarazzante per un intero ministero. Così come è quantomeno scandaloso che per oltre un’ora di visita non ci sia stata nemmeno l’ombra di un sorvegliante, di una guida o di chiunque altro aggirarsi nella zona. Anche qualcuno travestito da gladiatore sarebbe andato bene. Invece nulla.

Eppure i custodi ci sono e sono ben 35. Sono dipendenti dello Stato, hanno un’età media di 55 anni e hanno il solo compito di aprire e chiudere i cancelli, mentre il restante tempo lo passano seduti all’interno del casotto. Concludo la visita procedendo a caso tra le gallerie in cerca dell’uscita. D’accordo il romanticismo dell’esplorazione selvaggia nell’Italia antica, ma forse un percorso, moderno e interattivo, non sarebbe stata una cattiva idea. Se solo i turisti stranieri ci fossero l’opzione "romantica" sarebbe anche accettabile, per far rivivere l’impervia atmosfera del tempo. Peccato che nel 2014 i visitatori dell’Anfiteatro Campano siano stati soltanto 50mila (cinque anni fa erano la metà) e di questi la grande maggioranza è costituita da visite d’istruzione delle scuole limitrofe o da cittadini della zona. "Vengono soltanto scuole, - dice uno di quei custodi - i turisti da fuori sono pochi, gli stranieri si contano sulle dita di una mano. Non si riesce nemmeno a dirottare quelli che vengono a visitare la vicina Reggia di Caserta". Tanto per intenderci, il cosiddetto Vallo di Adriano, fortificazione eretta in Britannia dallo stesso Adriano per segnare la fine dell’impero romano, accoglie qualcosa come 900mila visitatori l’anno. Un muro. E in Gran Bretagna, non esattamente la patria della cultura latina. Peccato che all’estero su una insignificante parete di epoca romana si riescano ad attuare strategie di marketing capaci di attrarre più turisti di un qualsiasi nostro tempio in provincia. In fondo è come adoperarsi per acquistare una confezione attraente in cui riporre un pregiato gioiello regalato. Sarà banale, ma di questo si parla, di brand. E l’antica Capua il suo marchio ce l’ha già ed è già famoso in tutto il mondo: si chiama Spartaco.

Questo invece è l’ennesimo racconto di uno spreco italiano, figlio dell’intrinseca incapacità di intravedere la bellezza che può nascere da ciò che, per chissà quale fortuna, i tempi antichi ci hanno regalato. Benvenuti in Italia, dove a volte si parla persino di beni archeologici come servizi primari

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