L'ambigua strategia di Iliad che ha spento le tlc italiane

La crisi dei ricavi non è provocata dalle cosiddette "offerte riservate" come sostiene il gruppo francese, ma dal crollo delle tariffe causato dall'attività di dumping

L'ambigua strategia di Iliad che ha spento le tlc italiane

Con la cessione della rete, Telecom Italia - oggi nota come Tim - ha pagato il suo tributo ai vent'anni di razzie cui è stata sottoposta da raider di dubbia nobiltà che l'hanno obbligata ad accumulare il debito monstre (ha toccato l'astronomica cifra di 40 miliardi) motivo primo della vendita dell'asset più pregiato. Se è vero che ciò renderà il mercato delle tlc italiane più equilibrato, non risolve però il problema dei ricavi che, a causa di tariffe ormai infime (le più basse d'Europa), si sono via via ridotti fino a incidere pesantemente sui margini mettendo in seria difficoltà il sistema delle tlc nazionali. Con il risultato che gli investimenti continuano a calare e con essi il numero degli occupati. Basti dire che il fatturato totale delle imprese associate ad Asstel-Assotel è passato da 44,8 miliardi nel 2008 a 27,1 miliardi nel 2022. Nonostante ciò, gli operatori hanno reagito alla crescita del traffico con l'aumento degli investimenti sulle reti (36 miliardi tra il 2018 e il 2022, cui si aggiungono i 7,5 miliardi pagati allo Stato per le frequenze 5G). Tuttavia, ultimamente il dimezzamento dei margini lordi (16,6 miliardi nel 2010, 7,8 miliardi nel 2022) ha costretto le aziende a ridurre progressivamente gli investimenti; mentre i flussi di cassa sono scesi progressivamente e nel 2022, anche a causa della maxi-rata delle licenze 5G, sono diventati negativi. In breve, il settore brucia cassa e non attrae più nuovi investitori.

Come si è giunti a tanto? Come è accaduto che un settore tra i più floridi, ora fatica a stare in piedi? L'amministratore delegato di Iliad Italia, Benedetto Levi, sostiene che il mercato delle tlc italiane è stato messo in ginocchio dalle «offerte riservate», ovvero le offerte che gli operatori rivolgono agli ex clienti per convincerli a tornare da loro dopo essere passati all'ultimo arrivato. Che, guarda caso, è Iliad. Dice Levi: «Quello delle offerte riservate non è un fenomeno di nicchia, detta i prezzi sul mercato. Quanto alla guerra delle tariffe, non è colpa nostra: lo dice la Luiss, lo dicono i numeri». E ribadisce: «Come ha certificato la Luiss, ciò che distrugge il mercato delle tlc sono le offerte riservate». Sembra che nemmeno lo sfiori il sospetto che invece sia l'aggressiva politica commerciale di Iliad la vera causa del crollo delle tariffe.

Per la cronaca, Levi fa riferimento a uno studio che la stessa Iliad ha commissionato all'Università Luiss, pubblicato a novembre 2022, dal titolo «Il contributo di Iliad all'economia italiana». Il punto è che, pur essendo commissionato da Iliad, lo studio afferma il contrario di ciò che dichiara Levi. «Effettivamente - vi si legge - l'ingresso di Iliad nel mercato ha portato una scossa agli equilibri esistenti: l'entrata dell'operatore francese è avvenuta con un'offerta molto competitiva e ha sollecitato una ovvia risposta da parte degli altri operatori, i quali hanno subito reagito con molte nuove offerte caratterizzate da prezzi e livelli di servizi più aggressivi».

Quanto alla pratica delle offerte riservate, davvero le sue dimensioni sono tali da condizionare il mercato? Impossibile dirlo. Nemmeno i ricercatori della Luiss azzardano numeri, tanto il fenomeno è difficilmente censibile. Sappiamo però che Iliad, grazie alla sua politica commerciale, continua a catturare nuovi clienti al punto che oggi la sua quota di mercato non è inferiore al 13,7%. È perciò una fandonia che queste offerte abbiano potuto costituire un ostacolo alla concorrenza. Sicché è forte il sospetto che Levi stia strumentalizzando lo studio a fini di propaganda.

Del resto, sono gli stessi autori dello studio a confermare che è l'ingresso di Iliad nel mercato italiano ad aver costretto tutto il settore a correre ai ripari per frenare l'emorragia di clienti. Col risultato che le tariffe sono crollate a meno della metà per gli operatori minori (i più aggressivi) e a circa un decimo di quelle dei brand principali (rilevazioni Agcom e Asstel).

In altre parole, assistiamo al paradosso che Levi protesta contro gli operatori già presenti sul mercato perché hanno reagito non con un abbassamento generalizzato dei prezzi per fronteggiare la concorrenza di Iliad, ma piuttosto con offerte selettive, mirate ai clienti persi allo scopo di convincerli a tornare. Si resta basiti. Che altro avrebbero dovuto fare? Regalare al signor Xavier Niel, che ha fondato Iliad anche grazie ai proventi del business della pornografia, il loro portafoglio clienti? E pensare che la politica italiana aveva salutato con favore i primi passi di Iliad in Italia, apprezzandone il contributo alla riduzione dei prezzi con vantaggio per i consumatori. Addirittura, lo scorso anno un paio di parlamentari si erano convinti che fosse opportuno incoraggiare l'ultimo arrivato vietando le offerte rivolte agli ex clienti per convincerli a tornare indietro. Poi è stato spiegato loro che avallando tale provvedimento avrebbero contribuito a indebolire ulteriormente i conti di società come Wind Tre o Vodafone che pagano ben 13.000 stipendi, o alla stessa Tim che ha già i suoi bei grattacapi, a favore di chi gioca la stessa partita con meno di 1.000 dipendenti.

Ciò che avvilisce è che gran parte dei signori che siedono a Montecitorio pensano - e ciò dà il segno della loro cifra - che «una società che va bene con prezzi bassi è una società efficiente». Sciocchezza sesquipedale: i prezzi non devono essere bassi, i prezzi devono essere giusti. Solo così la società può continuare a investire per rendere il servizio sempre migliore. È forse efficiente Iliad Italia che dal 2018 presenta bilanci in perdita? Nel 2023 il rosso è addirittura cresciuto a 248 milioni. Sarà anche una start up, ma che dopo cinque anni dalla partenza non sia ancora in grado di cominciare a ripagare gli investimenti effettuati, la dice lunga sulla mission di Iliad.

Però sbaglierebbe chi pensa che Xavier Niel abbia fatto tutto da solo, che sia responsabile primo della débâcle delle tlc italiane. Mai sarebbe arrivato in Italia se chi ha guidato per cinque anni l'Antitrust Ue, la radicale di sinistra Margrethe Vestager, non avesse imposto, con un diktat dissennato, la presenza in ciascuno Stato membro di almeno quattro operatori mobili (tranne in Germania, dove curiosamente sono tre). Quando nel 2016 Wind e Tre decisero di fondersi ritenendo che fosse difficile tenere i conti in equilibrio con quattro concorrenti sul mercato, Vestager impose che il numero degli operatori in Italia tornasse subito a quattro: et voilà monsieur Xavier Niel con la sua Iliad. Inoltre, per non fargli mancare un caloroso benvenuto, l'Agcom si assicurò che non subisse ostacoli da parte degli incumbent. E sicuramente il mandato è stato assolto con efficacia, visto che oggi Iliad Italia vanta una quota di mercato che è il triplo di Fastweb e poco sotto quella di Vodafone. Insomma, in men che non si dica il Calimero francese si è posizionato al fianco dei grandi operatori costringendoli a diete dannosissime per tutti.

Giusta la domanda: ma se continua a operare in perdita, perché Iliad Italia insiste nella sua pratica aggressiva? Qual è la sua strategia? Lo spiega con precisione il sito francese bmftv.com: «Xavier Niel y applique exactement la même stratégie qu'en France. Après avoir cassé les prix et pris 13% de parts de marché, il rêve de grossir en mariant Iliad Italia à un concurrent». E infatti quando sono venuti al pettine i nodi nel settore, con l'evidenza dei problemi di Tim e poi quelli di Vodafone, il gruppo francese si è fatto avanti per ben due volte con offerte ostili (respinte) per l'acquisto della filiale italiana del gruppo inglese. È ora che l'Agcom faccia due più due: se l'ultimo arrivato opera in perdita, con prezzi talmente bassi da mettere in crisi gli altri operatori, e attraverso questa strategia poi si offre di comprare il secondo degli incumbent, forse l'ipotesi di dumping finalizzato a stravolgere i comportamenti razionali sul mercato è qualcosa di più di un sospetto.

Di questo passo non ci stupiremmo se nel mirino di Xavier Niel finisse anche ServCo, qualora non riuscisse la sfida lanciata dal ceo Pietro Labriola di riportare Tim ai vecchi fasti.

Non è forse in vendita il 24% che fa capo a Vivendi? Sarebbe una buona base di partenza per assecondare la sua strategia. Ma fino a quando potrà continuare a perdere denaro operando in dumping? Una domanda che le autorità di vigilanza dovrebbero cominciare a porsi.

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