L'Anpi caccia l'ultimo Savoia. E umilia il re che fece l'Italia

L'Anpi caccia l'ultimo Savoia. E umilia il re che fece l'Italia

Non c'è nulla di più triste del riuscire a trasformare una tragedia in farsa. Poveri noi. Che tempi grami. Perché a non far ricadere le colpe dei padri sui figli, si impara già in prima elementare. Classe evidentemente non frequentata dai partigiani dell'Anpi e da quelli del Comitato antifascista della Città di Busto Arsizio che, con un triplo salto mortale, vorrebbero addirittura far ricadere le colpe del bisnonno sul povero bisnipote.

Tutto nasce dalla festa organizzata per sabato nel ricco centro del Varesotto dal sindaco per riaprire la piazza centrale dopo la riqualificazione. Il fatto è che la piazza, come in tutte le nostre città, è intitolata a Vittorio Emanuele II e che la giunta di centrodestra, tramite il Gruppo Savoia che riunisce gli arzilli monarchici del posto, ha invitato nientepopodimeno che Emanuele Filiberto di Savoia. Apriti cielo. Immediata la convocazione del Comitato antifascista cittadino, sempre vigile sulle minacce alla democrazia nata dalla resistenza. Un lungo meditare e, al termine, l'ultimatum inviato ai media locali, tra cui Varese news e ripreso con solerzia dal sito internet di Repubblica, testata sempre attenta a segnalare qualunque minaccia di ricomparsa all'orizzonte di balilla e camicie nere. O, magari, anche bianche, come quella che si preparava a indossare il nipote dell'ultimo re d'Italia, la cui colpa sarebbe di essere il bisnipote di re Vittorio Emanuele III. «L'ultimo rampollo di questa sciagurata casa reale», sentenzia con tanto di virgolette intorno al reale il comunicato. Che prosegue, con sprezzo del ridicolo più che del pericolo, ricordando il «centenario della Prima guerra mondiale, la cui causa non può non essere imputata alla responsabilità di casa Savoia ad 80 anni esatti dalla firma ingloriosa dello stesso Savoia delle leggi razziali del governo fascista». Una bella macedonia tra Grande guerra, leggi razziali e governo fascista (che ci sta sempre bene), espressa in un italiano zoppicante e con l'invito finale al classico presidio antifascista per impedire la solita minaccia dell'oltraggio «a città medaglia di bronzo per la resistenza».

Una «scelta che amareggia», hanno sottolineato con volto corrucciato i partigiani postumi dell'Anci, gente che ai tempi di Salò nemmeno era nata e che oggi lucra sulla memoria altrui. No a Emanuele Filberto, dunque, ma sì alla piazza intitolata al suo avo Vittorio Emanuele II, il re dell'Unità d'Italia a cui sono dedicate le gallerie delle più importanti città e le piazze e vie di ogni metropoli o borgo.

Perché, evidentemente, per antifascisti e partigiani il principe nato nell'esilio svizzero deve scontare le colpe dell'avo incriminato. Ma si sa, dove abbonda la faziosità, difettano logica e buonsenso. Anche elementari.

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