Emilia terremotata e dimenticata costretta ad accogliere i migranti

Dopo tre anni dal sisma ancora metà dei fondi stanziati non sono stati liquidati. Mirandola è scesa in piazza per opporsi all'arrivo di profughi

Emilia terremotata e dimenticata costretta ad accogliere i migranti

I numeri sono impietosi. Non lasciano molto spazio alle gloriose dichiarazioni del presidente dell'Emilia Romagna, Stefano Bonacini: la ricostruzione dopo il sisma che ha messo in ginocchio l'Emilia Romagna è ancora indietro. E di molto.

Le liquidazioni dei fondi già stanziati arrivano con anni di ritardo. Ormai ne sono passati 3 da quei due giorni di fuoco, il 20 e il 29 maggio del 2012. A Mirandola qualcosa è stato fatto, ma non a sufficienza. Basta chiedere a Lorenzo Luppi, che con sua moglie ha ancora la casa inagibile per via di cavilli da burocrati. Oppure a Loretta Severi, commerciante, costretta ad arrendersi e a pensare di chiudere il suo negozio "orgaglio della mia vita". Il centro di Mirandola, uno dei comuni più colpiti dal sisma, "è morto: non ci passa più nessuno da qui".

Sabato, però, La città si è rianimata. E non tanto per il mercato settimanale, né per il sit-in della Cgil, sempre pronta a difendere le ragioni dei migranti. Ma grazie ad una manifestazione, organizzata da Forza Italia per protestare contro "l'invasione". L'evento ha richiamato l'attenzione dei diretti interessati. Quelli che le case le hanno ancora inferme, colpite da un malanno che per metà si chiama terremoto e per l'altra metà burocrazia. In piazza per gridare il loro "no", convinto, all'ulteriore sforzo del territorio per accogliere altri profughi. Un diniego secco, molto chiaro. "Prima gli emiliani" (guarda qui il video).

"Solo quando tutte queste case saranno ricostruite - urla al microfono Stefano Cavedagna, leader della Giovane Italia - potremo pensare all'accoglienza. Non prima". Il motivo scatenante la protesta è l'ipotesi che Mirandola, così come altri altri comuni emiliani, possa ritrovarsi costretta ad ospitare i profughi. Un decreto del governo lo esclude, eppure alcuni territori colpiti dal sisma già si sono fatti carico dei migrantii. "La Regione dice che le zone del terremoto sono escluse dalla collocazione degli immigrati - scrive su Facebook il consigliere azzurro Galeazzo Bignami - non sanno neanche che a Bomporto, Bastiglia, Cento, Vigarano sono stati già inviati dei clandestini che mangiano, bevono, dormono a spese nostre quando ci sono ancora italiani nei container. Pazzesco! Non sanno neanche dove sta questa gente!".

Ecco perché Lorenzo Luppi, perito industriale mirandolese, è andato a firmare la petizione "prima gli emiliani, contro l'invasione". Uno dei palazzi del centro, di proprietà della famiglia, infatti, porta ancora i segni del terremoto. Tre anni non sono bastati per poterlo ristrutturare. L'assenza di un documento catastale ne ha bloccato la pratica. Il giorno del sima, racconta Lorenzo, "mi sono visto cadere la torre della chiesa addosso. Si è alzata una polvere rosa: sembrava di essere in un film". Da quel giorno, il cambio di casa, le difficoltà e la rabbia per una ricostruzione che tarda ad arrivare. "E' come se fossimo stati traditi dal papà. Come un padre che ti dà una pacca sulla spalla e ti dice 'non è il tuo turno'". Ora l'Italia deve pensare agli immigrati.

L'Emilia Romagna ha già superato le 4700 presenze stabilite dalle quote governative. Calcolatrice alla mano, significano 60 milioni di euro l'anno di giro d'affari, soldi che avrebbero fatto più che comodo ai terremotati.

Tre anni fa erano 16mila le famiglie bisognose di aiuto, ancora oggi ne restano assistite a vario titolo 4.645, di cui 3.700 Cas (contributi all’autonoma sistemazione). Gli altri vivono nei container, grigi quartieri alle porte della città. Ognuno dei prefabbricati è costato la "modica" cifra di 120mila euro, il prezzo di una modesta abitazione. Forse sarebbe stato opportuno spenderli in un altro modo.

Angela - nome di fantasia di una terremotata che ci apre le porte della sua casa - non ne può più. "Voglio solo una casa - scandisce trattenendo le lacrime - agli extracomunitari garantiscono un tetto sotto cui dormire e tre pasti al giorno. E noi? Noi che non abbiamo nulla da mangiare?". Il 54% dei container è ancora occupato. Ad abitarci, 1.288 persone.

L'altra faccia della rivolta contro l'accoglienza indiscriminta è quella dei commercianti. Chi aveva un'attività in centro è stato costretto ad abbandonarla. Alcuni di loro si sono organizzati, ottenendo un'ex cantina sociale e condividendo le risorse per creare un nuovo polo commerciale. "Non è la stessa cosa - confida a ilGiornale.it Morena Negrelli -. Abbiamo dovuto spostare tutto, convincere la clientela a seguirci". Ma non solo. Lo scherzo maggiore l'ha riservato lo Stato. Chi ha ricevuto i 15mila euro di sussidio messi a disposizione è stato costretto ad inserirli nella dichiarazione dei redditi. E così sono scomparsi: Equitalia si è ripresa il poco che il governo aveva stanziato (guarda qui il video).

Loretta Severi, invece, il suo negozio di abbigliamento continua a tenerlo aperto a pochi passi dalla piazza principale di Mirandola. Ma le impalcature che sostegnono i palazzi che la circondano spaventano i clienti, rendendo così la zona poco trafficata. Ci mostra il registratore di cassa. Sabato ha incassato solo 10 euro. Una sola persona entrata nel negozio. "Sono anni che denuncio la morte della piazza e di tutto il centro. Gli aiuti che sono arrivati sono stati mangiati dalle tasse, e la ricostruzione non si è vista a sufficienza. E poi pensano agli immigrati? E' giusto dire: prima gli emiliani. Perché abbiamo già i nostri anziani costretti a rovistare nell'immondizia. Bisogna pensare a loro".

Mirandola, così come tutta l'Emilia, vorrebbe risorgere. Sabato lo ha fatto con uno scatto d'orgoglio.

Opponendosi anche solo all'idea che chi è stato sfregiato dal terremoto debba fare sforzi ulteriori per ospitare immigrati.

Anzi. Non solo. Perché Mirandola rivendica per sé le risorse economiche messe a disposizione degli stranieri e sotratte ai terremotati italiani.

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