Xi alza i dazi al 125% e rispolvera Mao: "Usa, tigre di carta non cederemo mai"

Pechino al premier spagnolo Sánchez: "Uniti in difesa della globalizzazione"

Xi alza i dazi al 125% e rispolvera Mao: "Usa, tigre di carta non cederemo mai"
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Colpo su colpo. La Cina non solo reagisce ai super dazi al 145% sul suo export negli Stati Uniti innalzando i propri fino alla soglia monstre del 125%, ma conferma di volersi giocare questa sfida commerciale all'ultimo sangue come un'opportunità per rafforzare le proprie posizioni. Siete voi a volere la guerra e l'avrete, dicono da Pechino, che tutto può tollerare fuorché i toni arroganti che Donald Trump sta usando mentre lavora per mettere alle corde l'economia del Dragone.

«Xi Jinping farebbe bene a prendere il telefono e chiedere di parlare con me», ha detto Trump, ma è del tutto improbabile che qualcosa del genere accada nel prossimo futuro. Al contrario. Da Pechino mandano a dire che bullismo e atteggiamenti irrispettosi saranno rispediti al mittente. E non vengono risparmiati toni irridenti verso le strategie della Casa Bianca. Innescare un'escalation di dazi e controdazi che rende di fatto impossibile il commercio bilaterale, secondo il ministero degli Esteri cinese, non è altro che «uno scherzo nella storia economica mondiale», qualcosa che non si può nemmeno prendere sul serio: altro che strategia, insomma, quello di Trump sarebbe solo caos mentale e mancanza di rispetto. E finché questo rispetto non tornerà, la Cina risponderà colpo sul colpo, «fino alla fine, perché non abbiamo paura».

Il presidente cinese ha parlato ieri, ricevendo il premier spagnolo Pedro Sánchez, per la prima volta dopo la svolta di Trump del 2 aprile che ha sconvolto i mercati e le relazioni internazionali. Xi ha fatto subito capire che rilancerà le pesanti puntate di Trump su quello che sembra essere il tavolo verde di una casa da gioco. Ha chiarito a Sánchez che la Cina non farà alcun passo indietro, e che anzi invita per suo tramite l'Europa a difendere la globalizzazione economica e il regime di libero scambio al fianco di Pechino. Sánchez che è alla sua terza visita di Stato a Pechino in due anni - ha risposto solo in parte positivamente, dicendosi impegnato ad agire per un maggiore coordinamento delle politiche commerciali tra Ue e Cina.

Ma l'aspetto più importante della reazione cinese alla guerra commerciale dichiarata da Donald Trump non consiste nonostante le apparenze nelle durissime misure di rappresaglia tariffaria che entreranno in vigore oggi. Xi Jinping dimostra, piuttosto, di voler giocare una partita politica sia interna sia estera. Lo conferma anzitutto il crescente bombardamento retorico sull'opinione pubblica cinese, che ha lo scopo evidente di stimolare orgoglio nazionale in vista delle immancabili gravi difficoltà economiche che questa assurda rissa tra i due colossi produrrà in Cina. I responsabili della propaganda del partito comunista non si limitano a diffondere in continuazione le frasi di sfida di Xi agli americani («Lotteremo colpo su colpo», «Fino alla fine», «Non ci fanno paura», «Pretendiamo rispetto»), ma rispolverano citazioni di Mao Zedong vecchie di settant'anni eppure sorprendentemente adattabili all'attualità.

«Non importa quanto durerà questa guerra, non cederemo mai». Oppure quest'altra, famosa, detta della «tigre di carta»: «Gli Stati Uniti cercano di intimidire alcuni Paesi, vietando loro di fare affari con noi, ma l'America è solo una tigre di carta. Non credete al suo bluff, basta una puntura e scoppierà». E mentre vertici del partito, funzionari e media cinesi ripetono all'unisono lo slogan maoista «fino alla fine», Xi Jinping apre in contemporanea all'invito all'Europa a far fronte comune «contro la destabilizzazione e il bullismo americani» anche un fronte regionale.

Nei prossimi giorni visiterà Vietnam, Cambogia e Malaysia, tre Paesi vicini della Cina colpiti da durissimi dazi Usa (per ora sospesi) che mettono alle corde le loro economie. Xi cercherà di cogliere l'opportunità per rilanciarsi, presso nazioni che temono l'imperialismo cinese, come alternativa credibile agli «inaffidabili Stati Uniti» che infatti le stanno tradendo.

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