A vedere i dati dei contagi che aumentano, le nuove varianti che incutono paura, i mercati che precipitano per il virus e tutto quello che resta da fare per rimettere in piedi l'economia quando siamo ancora sotto le bombe della pandemia, la questione in un Paese normale neppure si porrebbe. Invece, a sentire i bene informati, l'argomento di un trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale è ancora all'ordine del giorno. Per Matteo Renzi addirittura più di un leader di partito ci sta pensando su, ben sapendo che un cambio del genere si porterebbe dietro le elezioni anticipate a giugno.
Motivo per cui una riflessione sul tema andrebbe fatta, partendo innanzitutto dalla natura di questo governo, cioè un esecutivo di emergenza, come quelli che hanno gestito la ricostruzione nel dopoguerra, nato dall'impegno di una larga maggioranza con dentro forze antagoniste, per alcuni versi inconciliabili, che si sono sacrificate sull'altare della responsabilità (basta guardare i sondaggi dei partiti populisti, Lega e 5stelle, che hanno deciso di farne parte).
Appunto, la parola chiave è responsabilità. Una parola che mal si concilierebbe con l'immagine di un premier che, sia pure per ambizioni più che legittime, lasciasse il lavoro a metà. Ed è inutile che Draghi ripeta che la situazione è sotto controllo se continua a chiedere responsabilità agli italiani, perché la responsabilità o è di tutti, o è di nessuno. Tanto più che la «variante» Quirinale negli ultimi tempi, con tutto il rispetto, ha già reso meno performante l'azione di governo: là dove forse sarebbe stata necessaria una dose in più di decisionismo (vedi sulla manovra o sul fisco, per parlare degli ultimi capitoli), il premier per non avere problemi in Parlamento si è adagiato sul compromesso.
Ora a questo mondo si può far tutto, si può anche chiedere agli italiani pazienza e sacrifici e poi decidere di far bagagli e cambiar Palazzo e Colle. Solo che una scelta del genere, che sarebbe quasi naturale in futuro per un premier che si è speso in un momento dei più difficili della storia del Paese calandosi nei panni dell'eroe, oggi striderebbe non poco di fronte ai problemi del presente. Sarebbe un passaggio innaturale in questo momento, che finirebbe per fare a botte pure con la narrazione a cui ci ha abituato lo stesso Draghi. E a nulla varrebbero le capriole istituzionali di chi vede nell'elezione di Draghi oggi al Quirinale gli albori del semi-presidenzialismo. Sembrano tesi date a posteriori rispetto ad una decisione che oggi sarebbe difficile da motivare.
Per cui, mi sia consentito con tutto il rispetto, resterebbe davanti agli occhi di tutti un'unica spiegazione: la metamorfosi dell'eroe in disertore. Un'immagine, il primo a saperlo è l'interessato, che non appartiene a Mario Draghi, che sarebbe ingiusta e che l'ex governatore della Bce non si può certo permettere.
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