Togliete i vecchi occhiali, sono sfocati. È solo un consiglio, perché davvero questi giorni di quarantena un solco profondo lo stanno lasciando. Non tutto è come prima nella testa di chi sta perdendo lavoro, negozi, botteghe, uffici e quelle poche certezze che ancora erano rimaste. Sì, c'è rancore, c'è paura, disperazione, rabbia e voglia di prendersela con qualcuno. C'è un'onda di persone che comincia a muoversi, va in piazza, e segue personaggi più o meno pittoreschi. È facile sorriderne, ma è solo giugno e in autunno potrebbe essere peggio. L'errore più grande è leggere tutto questo con lo sguardo di febbraio. È quello che sta succedendo. Te ne accorgi quando ritrovi, soprattutto a sinistra, magari nelle pagine di giornali partito o nelle chiacchiere tv, le stesse equazioni, gli schemi binari della discussione politica. Destra e sinistra, sovranisti e europeisti, beceri e illuminati, patrioti e resistenti, cattivi e buoni. Alt, allora bisogna fermarsi un attimo, come quando il navigatore satellitare incrocia una strada sconosciuta. Ricalcolare. C'è l'imprevisto e la vecchia mappa non fa i conti con la realtà.
I gilet arancioni e affini, e tutto quello che potrà arrivare dalle folle disilluse e disperate, non ha nulla a che fare con Salvini, Meloni e tanto meno Berlusconi. È un'altra storia. È qualcosa che in questo momento si fa perfino fatica a interpretare. Quello che vediamo sono segnali vaghi di forte inquietudine. Non ne conosciamo l'intensità, la direzione, la potenza, il destino. Può essere nulla, la farsa che irrompe nella tragedia e se ne va via senza lasciare un segno. O qualcosa che prende forza, contagia, trova un leader sconosciuto più carismatico e intelligente di quelli che ci sono in giro e allora tutto questo finisce per scardinare i pilastri della democrazia e della libertà. È la casa dove siamo cresciuti e di questi tempi è parecchio fragile.
Le destre non sono questo. Salvini potete pure detestarlo, bestemmiare contro la sua politica di muri e frontiere o trovare urticanti i balli da Papeete Beach, ma lui e il suo partito non sono fuori dal sistema, non sono e non saranno uno strappo sulla carne viva della democrazia, come non lo sono più i Cinque Stelle. Stanno ben piantati nel prima, se ne conoscono i confini, le tracce genetiche, gli orizzonti e le prospettive. Questi che arriveranno no. Questi non li conosciamo. Non sappiamo come e se muteranno. Gli unici indizi li abbiamo dal passato, perché quando la paura non trova risposte ed è senza speranza qualcosa succede. Le cose cambiano.
Facciamo allora un passo indietro di cento anni: 1920. Alla spalle c'è una guerra disumana, un'esperienza impossibile da raccontare per chi non l'ha vissuta. Il virus, quello della «spagnola», è il contorno. Qualcosa, quindi, che ribalta le visioni del mondo con un testacoda molto più intenso di adesso. È il biennio rosso. Il vecchio mondo è sotto assedio, stretto a destra e sinistra. La rivoluzione è la parola più spesa e c'è voglia di buttare giù tutto. La politica fa promesse che non può mantenere. Nelle strade, in città e in campagna, ci si scanna.
La storia non si ripete e non si incarna mai allo stesso modo, ma gli errori sì. Quelli perseverano dalla notte dei tempi. Il vecchio mondo liberale di fronte alle masse che entrano sulla scena continua a comportarsi come prima. Ha fermato l'orologio al 1913. Giolitti pensa di normalizzare Mussolini. Turati cerca di tenere a bada quelli che sognano di imitare Lenin. Da una parte all'altra del Parlamento continuano a insultarsi come fanno dai tempi di Crispi. Il potere per il potere ha svilito la democrazia e i governi senza maggioranza cadono uno dopo l'altro. Nessuno, tranne Matteotti, sembra aver capito quello che sta accadendo. Guardano il nuovo tempo con gli occhi del passato. Verranno travolti. I gilet arancioni non sono le camicie nere. Non c'è in giro un Mussolini.
Non sappiamo quello che accadrà, ma una cosa è certa: la cecità di politici e intellettuali non porta mai nulla di buono e stiamo facendo di tutto per restare dannatamente ciechi. Ricalcolare, in fretta, prima di perderci.
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