Ormai stiamo vivendo una guerra di civilità

La guerra non è cosa da niente. Matteo Salvini è stato messo in croce per la sua maglietta con la faccia di Putin, per vecchie parole, per averne subito il fascino, per frasi disgraziate, perché Mosca era troppo vicina.

Ormai stiamo vivendo una guerra di civilità

La guerra non è cosa da niente. Matteo Salvini è stato messo in croce per la sua maglietta con la faccia di Putin, per vecchie parole, per averne subito il fascino, per frasi disgraziate, perché Mosca era troppo vicina. Si è ritrovato a Przemysl, in Polonia, con un sindaco che lo ha messo alla gogna, facendo sollazzare i suoi avversari italiani, con il paradosso di una sinistra che finisce per applaudire il soldato Wojciech Bakun, ex parlamentare nazionalista del Kukiz'15, partito della destra radicale. È tutto vero. Salvini in passato ha evocato Putin e non è stato il solo. Ma c'è qualcosa che adesso dice su cui vale la pena riflettere. Non è un alibi, e comunque non importa. È qualcosa con cui comunque bisogna fare i conti e forse un po' si fatica a rendersene conto. «La guerra è una cosa così grande che cambia ogni parametro di giudizio. Putin, fino all'aggressione, è stato incontrato e omaggiato da tutti i leader politici nazionali ed europei. Ora c'è una guerra in cui è chiaro a tutti chi è l'aggressore».

La guerra di Putin è una linea di demarcazione e svela errori, illusioni, miopie. Fare finta di non esserne toccati, di non avere nulla da recriminare, di sentirsi sempre e comunque giusti, puntando l'indice contro il prossimo, è arroganza e presunzione. Questa guerra ci dice che la politica, e non solo, ha dato per scontate la libertà e la democrazia, come se non fossero qualcosa di fragile, da difendere giorno per giorno da chi all'esterno e all'interno le considera fuori dal tempo, magari obsolete, magari come valori che si possono accantonare per restare al potere. A che serve votare? A che serve tutelare i diritti sopra ogni cosa? Chi adesso cerca capri espiatori, veri o finti collaborazionisti, dovrebbe chiedersi quanto sia stato davvero coerente con il canone occidentale. È una domanda che andrebbe fatta anche a sinistra. Tutti dovrebbero chiedersi quanto siamo stati ciechi. No, non solo con Putin, ma davanti alla nostra precarietà, con l'incapacità di immaginare un futuro.

L'unica politica energetica è stata quella di dire «no», legando il proprio destino alla Russia, dipendendo da Putin. Putin che in questi anni ha fatto comodo a tanti, troppi. Come ha fatto comodo la Cina. Ecco, ora sappiamo che quella che stiamo vivendo è una guerra di civiltà e non si ferma all'Ucraina.

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