Così lo Spirito del mondo si irradiò dall'arte italiana

Nel XX secolo il nostro Paese perse il primato geografico nella pittura. Ma non quello ideale

Così lo Spirito del mondo si irradiò dall'arte italiana

Per spiegare il senso profondo di questo nuovo volume, dedicato al Novecento, occorre risalire al pensiero del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel: lo Spirito del mondo si manifesta in ogni epoca in un determinato luogo. E dunque, per tornare nel nostro contesto, lo Spirito del mondo appare nel Trecento a Padova, con Giotto. È ancora a Padova nel Quattrocento, con Donatello e Mantegna, anche se il baricentro è prevalentemente a Firenze. Nel Cinquecento è a Roma, e la sua forza perdura anche nel Seicento, con Caravaggio e con il Barocco. Nell'età neoclassica inizia a vacillare il primato dell'Italia, e si annunciano fenomeni molto rilevanti in Francia, i quali poi irrompono, alla fine dell'Ottocento, con gli impressionisti. L'Italia perde lo Spirito del mondo.

Dal Trecento all'Ottocento, fino a Tiepolo e Canova, l'Italia è stata il luogo privilegiato della manifestazione dello Spirito del mondo, che poi, improvvisamente, si trasferisce stabilmente in Francia, dove continua a riprodursi fino agli inizi del Novecento. Modigliani non sarebbe Modigliani se fosse accaduto a Livorno, come è avvenuto per i macchiaioli, o per un pittore come Oscar Ghiglia, grande quanto Modigliani però, purtroppo, vissuto in una terra da cui lo Spirito del mondo s'era allontanato.

Modigliani è un italiano che porta lo spirito italiano, la consapevolezza della tradizione italiana a Parigi. Se le maschere africane primitive che popolavano la casa di Gertrude Stein ispirano Picasso, i riferimenti di Modigliani (...) sono altri primitivi, cioè Giotto, Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti. La storiografia italiana li definisce primitivi nel senso che precedono cronologicamente Raffaello, con un riferimento molto preciso alla lunga storia dell'arte italiana che ho tentato di raccontare nei volumi del Tesoro d'Italia.

Insomma, se Modigliani avesse lavorato a Livorno, e si fosse ispirato al solo primitivismo italiano, non avrebbe avuto la stessa eco, come dimostra la vicenda dei macchiaioli o di Ghiglia; e probabilmente analogo discorso si potrebbe fare per Picasso: se fosse rimasto in Spagna e non avesse conosciuto Parigi, sarebbe stato Picasso? Tra Otto e Novecento tutto accade a Parigi, Modigliani ma anche Boldini (...), e continua ad accadere con il Cubismo e il Surrealismo.

Improvvisamente, però, si interrompe anche la fortuna di Parigi. Negli anni Cinquanta del dopoguerra lo Spirito del mondo si sposta in America, con Jackson Pollock, i grandi pittori dell'Informale e, nel 1958, con la Pop Art.

E l'Italia? Piero della Francesca accade nel 1450, ma ritorna ad accadere nella consapevolezza dei pittori francesi come Seurat, che è il primo che ne comprende pienamente la grandezza dopo anni di oblio; e, ancora, Piero riaccade con il Cubismo e con Morandi. Senza Piero della Francesca sarebbe impensabile Balthus. Quindi l'accadere in un luogo dello Spirito del mondo è un accadere per sempre, vuol dire eternarsi. Uno dei momenti fondamentali della pittura italiana del Novecento è (...) Valori plastici, un movimento che intende ritrovare proprio quel senso della misura, dell'ordine e della prospettiva che è nato nel Quattrocento.

Il Futurismo internazionalizza l'arte italiana del Novecento, muovendo verso la Francia e in Russia. Eppure per il Futurismo vale quanto abbiamo indicato per Modigliani: il Manifesto futurista viene pubblicato su Le Figaro, a Parigi, pur essendo un pensiero nato a Milano. La storia dell'arte del Novecento è un percorso altalenante tra fenomeni che sono ormai delocalizzati rispetto all'Italia, che deflagrano altrove ma restano consapevoli dello spirito italiano, come avviene per i pittori futuristi o per Giorgio de Chirico, un artista greco, diventato italiano, che vive a Parigi. De Chirico inventa la metafisica, come lui stesso la definisce, che è una reinterpretazione della grande tradizione italiana, a partire da Piero della Francesca, dalla statuaria greca e romana e da Ferrara, altra capitale del Rinascimento.

Quando arriviamo al ventennio fascista è tempo di un rappel à l'ordre che, in Italia, si incarna in Margherita Sarfatti, controversa e straordinaria donna, amante del Duce, ebrea, che il Duce stesso in seguito rinnegò. Margherita Sarfatti inventa Novecento, che è un momento preciso in cui a Milano si trova un gruppo di artisti che rinnovano la grandezza del Quattrocento.

Il percorso di questo libro rende conto dunque di un intreccio di pulsioni, fatto di moti in avanti e arretramenti, di futuro e passato.

Un libro che si avventura nel genio inquieto del Novecento, per far capire come, in un secolo in cui l'Italia non è più il primo paese per l'arte, ci sono però artisti formidabili, che a volte hanno varcato i confini nazionali, ma spesso non hanno conosciuto risonanza mondiale: degli uni e degli altri cerco di rendere conto e di dare testimonianza.

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