Alida Maria Altenburger, Alida Valli o semplicemente "la Valli". Sempre lei. La "guerriera" – come suggerisce l’etimologia del suo nome – con lo sguardo più magnetico che il cinema internazionale ricordi. Tanto cristallino da poterci scorgere un fondale di sabbia e malinconia. Indecifrabile e segreto. È la parte di sé che ha sempre protetto dalla curiosità del mondo con inflessibile ostinazione. Sì perché Alida era anche questo. "Occhioni grandi che sembravano protetti da un’armatura e un sorriso che voleva come tenersi a distanza", dirà di lei Roberto Benigni nel bel documentario di Mimmo Verdesca andato in onda su Rai1 qualche anno fa. La sua vita è stata così piena e sofferta che in quegli occhi puoi leggerci ciò che vuoi.
Alida ha attraversato la storia, non solo quella del cinema. La grande storia. Nelle sue origini c’è una sorta di predestinazione all’irrequietezza, alla fuga, alla perenne ricerca di un luogo da chiamare casa. È nata istriana e italiana a Pola. Era il 1921. Non ha vissuto l’orrore delle foibe e dell’esodo in prima persona. La sua famiglia lasciò l’Istria prima dell’inizio delle persecuzioni anti-italiane, ma l’eco di quelle barbarie lasciò su di lei un segno indelebile. "Non mi sento una privilegiata per essermi risparmiata ciò che è capitato agli istriani alla fine della guerra con l’allontanamento forzato, la confisca dei beni e spesso la morte. Se pur lontana io soffrivo con loro". Tanto che molti anni più tardi rifiuterà con parole di fuoco la cittadinanza onoraria offertale dalla Croazia. "Ho risposto che troppe volte, come la mia città, avevo cambiato pelle ma sono nata e morirò italiana".
Alida non accettava compromessi. Quando il Duce la volle a Salò lei si nascose. Non era più disposta a pagare alcun prezzo nel nome di una ideologia che non aveva mai sentito sua. "Il Duce – dirà anni dopo – non l’ho mai visto neppure dal balcone". La guerra le aveva già portato via il primo grande amore: Carlo Cugnasca. Pilota. Abbattuto in combattimento a Tobruk il 14 aprile 1941. Lei in quei giorni stava girando "uno dei film più dolorosi e belli" della sua carriera, "Piccolo mondo antico" di Mario Soldati. È la sua prima pellicola "impegnata". Veste i panni di Luisa, giovane madre che impazzisce di dolore per l’annegamento della figlia. La finzione si intreccia con la realtà e Alida porta in scena una sofferenza vera: "Piangevo come una vite tagliata durante le riprese, e me la prendevo con me stessa, mi torturavo".
Di quella storia di amore sopravvive una fitta corrispondenza. "Lei scriveva tantissimo e conservava tutto. Gli scambi che mi hanno colpito di più sono quelli con Carlo. Arrivavano a scriversi anche due o tre lettere al giorno. Sono lettere piene di speranza, che parlano di futuro nonostante la guerra", ci racconta Pierpaolo De Mejo, regista e nipote della Valli. Alida ritrova la serenità affettiva accanto al compositore Oscar De Mejo, da cui avrà due figli. È con lui che alla fine della guerra si trasferisce ad Hollywood. È il 1947 e si ritrova a dividere il set con Gregory Peck ne "Il caso Paradine" di Alfred Hitchcock. Entra così nella élite hollywoodiana. Ma i ritmi dell’industria cinematografica con le sue regole ferree dopo qualche anno iniziano ad andarle stretti.
Si sente dentro a una specie di tritacarne e vuole riprendere in mano la sua vita. Decide di rompere il contratto con la sua casa di produzione. Emblematico il finale de "Il terzo uomo" di Carol Reed, con lei che esce di scena dopo aver attraversato un lungo viale alberato. "Volevo riprendermi la mia liberà". Il prezzo da pagare è una penale da 150mila dollari. Il ritorno in Italia non è definitivo. Alida continua a inseguire qualcosa. Lo fa spostandoci di città in città. Vestendo panni sempre diversi e spaziando di genere in genere. Affronta grandi ruoli e piccoli camei. Non si ferma mai. "Nonostante fosse ormai un’attrice consumata le piaceva lavorare con registi emergenti come Dario Argento, Marco Tullio Giordana ed i fratelli Bertolucci. Si tirava su le maniche ed era una di loro. Senza spocchia né vezzi", ricorda il nipote.
L’ultima apparizione nel 2002 in "Semana santa" di Pepe Danquart. La Valli ha ormai 82 anni. Ha debuttato ne "Il cappello a tre punte" di Mario Camerini che ne aveva appena 15. "Il tempo non è scivolato su di me, io gli sono andata dietro senza paura. Non importa essere giovani e belli, ma avere qualcosa da dire e i mezzi espressivi per farlo al passo con il presente". Sperimenterà anche il teatro.
Riceverà il premio Duse nel 1989, il David alla carriera nel 1991 e il Leone d’oro al Festival di Venezia nel 1997. Ci saranno altri uomini nella sua vita. Mancherà un per sempre. "Ho vissuto troppe storie d’amore nella finzione – dirà – per viverne una mia per sempre".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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