Madri bambine oppure nonne La maternità diventa estrema

Madri bambine oppure nonne La maternità diventa estrema

A dodici anni giocavo con Cicciobello e la Patatina. Con la mia amica del cuore avevamo costruito nel suo cortile la nostra casa con i mattoni di suo padre, che faceva il muratore. Ricordo le pappine fatte con la calce e l'acqua. I piattini e i bicchierini di plastica. Il ciuccio, che quando lo toglievi il «bambino» piangeva e noi pronte a consolarlo. Bastava rimettere il ciuccio e il sorriso dipinto sul volto delle nostre bambole ci rendeva le mammine più felici del mondo.

Poi siamo cresciute. Io due figli li ho fatti davvero. Avevo 26 anni quando è nato il primo. Durante la gravidanza ho letto decine di libri di puericultura e pedagogia, perché volevo essere una mamma preparata. Perché un figlio non è un gioco, è una responsabilità immensa. Tra il mio primo e il mio secondo figlio ci sono dodici anni di distanza. Mentre ero incinta del secondo pensavo di essere già pronta: «Una passeggiata adesso che so!» Mi sbagliavo.

In dodici anni il mondo è cambiato. È diventato più pericoloso, più veloce e anche un po' più vuoto. Un vuoto che da fuori entra dentro le anime belle dei nostri bambini. E allora mi chiedo costantemente come proteggerlo, come riempirlo di idee giuste, di valori sani, di quella forza che serve per affrontare i momenti bui della vita. Lui ha dieci anni e ci sono giorni in cui sono felice perché mi accorgo che ho agito nel modo giusto, costruttivo per il suo equilibrio, per la sua crescita sana. Altri in cui invece mi metterei a piangere, perché sembra che qualsiasi cosa io faccia sia sbagliata. Ho 48 anni. E per me fare la mamma è difficile. È gratificante e devastante insieme. E ho una fottuta paura di sbagliare. Proprio per quel senso di responsabilità che sento di avere sul suo presente e sul suo futuro. Perché so che se sbaglio io a rimetterci la vita sarà lui.

Quarantotto anni e tanti dubbi, una perenne e incessante attenzione alla crescita, all'educazione dei miei figli. Anche quando sto facendo altre millecinquecento cose. Anche quando decido di regalarmi un po' di tempo per me, che dalla scelta di diventare madre non è mai più stato solo per me. Come si fa allora a fare un figlio a 12 o 13 anni? Come si può, da genitore, pensare che i propri bambini (perché questo siamo, a quell'età) possano mettere al mondo altri bambini, che non sono Cicciobello né la Patatina, ma persone vere? Come possiamo credere che quella strenua «difesa del pancione», quel «volere fortemente» la gravidanza, di queste due bambine e dei loro compagni (bambini pure loro) possano essere una scelta autentica e non un gioco?

Io a dodici anni le mie bambole, quando mi stancavo o mi arrabbiavo, le buttavo via. A volte mi divertivo a romperle.

Cosa accadrà quando questi baby genitori si renderanno conto della responsabilità, ma anche della voglia potente di vivere, senza «pesi», la loro fanciullezza? Di chi è davvero la scelta di portare avanti la gravidanza, dei bambini o dei loro genitori, che come gli ultracinquantenni che ricorrono alla fecondazione assistita hanno trovato l'occasione per dare corso al loro egoismo, incuranti di ciò che è davvero bene per i bambini?

Barbara Benedettelli

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