Malati di gioco: viaggio nel mondo della ludopatia

In esclusiva per il Giornale.it la storia di Giovanni, ex bancario sprofondato nel tunnel della ludopatia, con un mare di debiti. Le testimonianze di uno psichiatra e di un avvocato

Malati di gioco: viaggio nel mondo della ludopatia

Entra in un bar e si fionda sulle slot machine. Dopo aver infilato la prima moneta da due euro nella fessura, tira un sospiro di sollievo. Il mondo che gli sta intorno, i problemi e le fatiche quotidiane non esistono più. Nessuno lo rimprovera e gli dice quello che deve o non deve fare. Nessuno lo giudica. Nessuno lo cura. È solo davanti alla macchinetta. Sa che può vincere e farsi un bel gruzzoletto. Oppure no. Mille altre volte è andata così. Ha vinto e ha perso. Bianco o nero. È questa l'adrenalina che gli fa giocare fino all'ultimo euro che ha in tasca. E lo costringe a scappare di casa, dopo aver rubato gli ultimi soldi a sua moglie. Si riduce a mangiare pane raffermo, solo come un cane, nella sua infinita disperazione. Lontano da tutto e da tutti. Lui e la sua malattia del “gioco compulsivo”, che da anni lo tiene prigioniero.

Giovanni, 68 anni, vive in provincia di Milano. Dopo aver lavorato una vita in banca è in pensione dal 2001. Si è avvicinato al gioco per caso. Ad attiralo, mentre prendeva un caffè al bar, è stato il rumore delle monetine che cadevano da una macchinetta. Una campanella ha suonato nella sua testa: perché non provo anch'io? Chissà, magari vinco qualcosa... Ha iniziato a giocare e, senza accorgersene, in poco tempo è sprofondato nella dipendenza.

Finiti i soldi che aveva in tasca si rivolge a una finanziaria. Gli danno un assegno di 1500 euro, da restituire in comode rate da 60 euro al mese. Giovanni ogni mese corre a controllare la cassetta postale, per evitare che i suoi familiari scoprano i bollettini. Quei soldi finiscono molto presto. Così si rivolge a un'altra finanziaria e ottiene altri 1500 euro. Dopo il pagamento di 4 rate lo chiamano e gli offrono altri 1500 euro. Lui non se lo fare dire due volte e accetta. Così la rata mensile sale a 180 euro. Giovanni entra in un tunnel da cui è difficile uscire. Continua a giocare e a bruciare soldi ad un ritmo vorticoso. Non gli bastano mai. Va alla ricerca di una nuova finanziaria e ottiene, con estrema facilità, altri 1500 euro. A quel punto fa un mezzo passo falso. Sua moglie scopre un prelievo fatto di nascosto dal suo bancomat e gli fa una scenata. Sempre più in difficoltà Giovanni “aggredisce” il patrimonio della suocera, utilizzando degli assegni. Non si trattiene e le svuota il conto corrente. La banca chiama sua moglie, per segnalare il rosso. Scoppia il putiferio. Giovanni, con le spalle al muro, accetta di farsi aiutare. Si rivolge a un Sert e, dopo alcuni colloqui individuali viene inserito in un gruppo. Lui si fa forza con queste parole: “Se sono riuscito a smettere di bere, riuscirò a finirla anche con il gioco”. Per tre volte, in passato, Giovanni ha avuto problemi con l'alcol. Ha iniato quando aveva 24 anni, con lo “stravecchio” di una nota marca di superalcolici. Poi è passato alla birra. L'anno seguente al “bianchino”. Nel 2002, dopo un ricovero ospedaliero e un percorso di psicoteraapia, ce l'ha fatta ad uscire dalla dipendenza. Da allora non sente più alcun desiderio di bere. Ma il suo problema, la sua dipendenza, ora è il gioco.

Giovanni va al Sert per un anno e mezzo. Vuole guarire. Per saldare i debiti accumulati, 20mila euro circa, ottiene un anticipo cedendo un quinto della pensione: 120 rate da 235 euro al mese. Nel gruppo di analisi del Sert fa amicizia con una donna che, come lui, ha il vizio del gioco. I due vanno regolarmente agli incontri, seguiti da una dottoressa, ma al contempo si rimettono nei guai tornando a bazzicare i bar con le macchinette, ovviamente di nascosto. Giovanni si rimette a chiedere soldi a chi gli è più vicino. Qualche amico, il fruttivendolo... poi torna dalle finanziarie.

Riparte da 1500 euro. Nel giro di pochi mesi arriva a cinquemila e cinquecento (4mila da restituire con bollettini da 130 euro al mese, più 1500 con una rata da 60 euro). Ogni volta che si ritrova dei soldi in tasca li spende subito in poche ore, sempre alle solite slot machine. La sua massima vincita è stata di 800 euro in tre ore di gioco. Il giorno dopo, però, in appena venticinque minuti, polverizza 500 euro. Tutto a colpi di monete da due euro.

Ai debiti si sommano nuovi debiti. La situazione si fa disperata. Il 13 settembre 2013 Giovanni scappa di casa. In una scatola riposta nel box lascia tutte le ricevute e i bollettini che testimoniano la sua disperazione. Prima di fuggire preleva di nascosto gli ultimi 500 euro dal bancomat della moglie. Poi le mette la tessera sotto allo zerbino e se ne va. Prende l'autostrada, guida senza avere una meta e raggiunge Parma, la città più vicina. Dorme due notti in macchina, si nutre con dei pezzi di pane che gli erano rimasti in auto. E, giocando alla slot, finisce tutti i soldi. Gli restano appena 20 euro per far benzina.

Sconfitto ancora una volta, solo e disperato, lontano da casa, si aggrappa alla figlia. È lei che lo convince a riprendere la battaglia contro i suoi fantasmi. Giovanni torna al Sert e, dopo un mese e mezzo, viene riaccolto da sua moglie. Insieme decidono di rivolgersi a un avvocato, per costruire una rete di protezione intorno a Giovanni. La figlia viene nominata amministratore di sostegno. Gestisce lei tutti i soldi del padre. Adesso Giovanni sta bene. Voltandosi all'indietro ammette: “Non ci si accorge di essere malati, eppure il gioco è una malattia”. In inglese si chiama gambling, è il gioco d'azzardo problematico e patologico. Si può guarire, ma bisogna farsi aiutare e lottare con tutte le proprie forze. Soprattutto non bisogna restare soli con i propri fantasmi, che aspettano solo di scrivere”game over” sulla tua vita.

Ma Giovanni è davvero guarito? Lui è convinto di sì e noi ce lo auguriamo di tutto cuore. Un dubbio però ci viene quando di racconta questa cosa: “Se dovessi trovare per strada 20 o 50 euro, cosa farei? Me li giocherei tutti o li porterei a casa?”. La campanellina che lo aveva spinto a giocare la prima volta, è ancora lì nella sua testa. La battaglia di Giovanni va avanti.

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