Migranti, la cresta delle coop: cibo, salari e servizi fantasma

Ogni 50 profughi il profitto può arrivare a 10mila euro al mese. Ecco come società e cooperative possono guadagnare con l'immigrazione

Migranti, la cresta delle coop: cibo, salari e servizi fantasma

Ospitare profughi è un vero affare. E non si tratta di slogan o insinuazioni senza prove: lo dicono i numeri. Basta affittare una struttura in cui accatastarli oppure riaprire un vecchio hotel abbandonato, partecipare alla ripartizione degli immigrati e il gioco è fatto. Reddito garantito.

Per valutare quanto profitto gli imprenditori dell’accoglienza possono trarre dai 30-35 euro a migrante pagati dallo Stato, ci siamo fatti aiutare da un esperto contabile. Abbiamo preso il bando emesso dalla prefettura di Bologna, lo abbiamo analizzato e infine ipotizzato di partecipare alla gara come una cooperativa. La chiameremo “Affari per tutti”.

Ci sono due ipotesi. Nella prima immaginiamo di gestire un Cas da massimo 16 persone. Piccolo, ma comunque remunerativo. Nella seconda, puntiamo su una struttura media da 50 immigrati da piazzare in hotel. Il capitolato d’appalto obbliga (o meglio, obbligherebbe) le coop a fornire determinati servizi e dotarsi di un personale idoneo a garantirli: un direttore, un numero di operatori in funzione degli ospiti, lo psicologo, l’assistente sociale, un mediatore linguistico e un infermiere per un totale di 352 ore alla settimana (178 per il centro più piccolo).

I costi fissi da affrontare sono l’affitto dello stabile e il mantenimento di un mezzo per scarrozzare i migranti all’occorrenza. Il primo è stato calcolato assegnando ad ogni ospite la metratura minima che, per legge, deve essere garantita per un domicilio. Il secondo è stimato in 8,77 euro al giorno. I costi variabili dipendono invece dal numero di presenze nel Cas: il consumo di acqua, luce, gas e rifiuti (0,94 euro al giorno a profugo) e gli appalti per la lavanderia e per la pulizia dei locali (1,93 euro al giorno pro capite). Infine, c’è la spesa una tantum per i beni di prima accoglienza da fornire ai nuovi arrivati: abiti e scarpe (spesso presi già usati), il kit d’igiene personale e la scheda telefonica da 15 euro. Oneri che spalmati su un anno si riducono ad un’inezia: circa 20 centesimi di euro al giorno.

Adesso vi chiederete: dove sta l’inganno? Come si fa a guadagnarci? Semplice: giocando sul costo del personale e sui pasti. “Tutto dipende dalla moralità di chi guida i centri”, ci spiega un operatore che di queste cose se ne intende. Perché pagando i collaboratori secondo il “contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali” e fornendo un servizio mensa di qualità, i costi schizzano. E alla fine del mese il rischio è di non rientrarci. Ma più di un lavoratore assunto da associazioni che sguazzano nell’emergenza sbarchi ci ha confermato - sotto anonimato - di ricevere molto meno rispetto a quanto gli spetterebbe con la paga oraria garantita dal Ccn. Impiegati a tempo pieno e pagati per un part-time: circa 700 euro al mese contro uno stipendio netto che dovrebbe essere intorno ai 1.100 euro.

"In un colloquio come assistente legale un mese fa mi hanno offerto 950€ circa. Ho rifiutato per principio", ci racconta un operatore. E non è solo un caso: quando esplose il caso di Mafia Capitale a Roma, l'Assemblea dei Lavoratori dell'Accoglienza lamentò le condizioni in cui erano costretti a sfacchinare tra "precarietà, sfruttamento e demansionamento". Senza contare che pesso i primi a risentire dei ritardi nei pagamenti da parte dello Stato sono loro, che finiscono col rimanere senza stipendio per mesi.

Discorso simile vale per i pranzi e le cene: un buon servizio mensa richiede mediamente 16 euro al giorno a immigrato, ma le coop tirano la cinghia sulle pietanze riducendo le spese ad appena 10 euro. Per calcolare il dato ci siamo basati su diversi casi pratici. Basti pensare che nel sistema Sprar, secondo il rapporto annuale del Ministero, "l’importo del contributo economico a persona per l’approvvigionamento del vitto si aggira da 4.1 a 5 euro". Vi sembra troppo poco? Non lo è. A confermarci tutto è il direttore di un Cas per minori: "Ho visto altri centri di accoglienza limitarsi a un piatto di pasta, un’aletta di pollo e a colazione solo un po’ di the con una mela. E alcuni vanno pure a fare la spesa alla Caritas".

Non è corretto, direte. Certo. Bisognerebbe seguire il capitolato d’appalto. Ma le cooperative non sono obbligate dalla legge a dichiarare come utilizzano i soldi pubblici e i controlli delle prefetture latitano: “In tre anni - ci spiega un coordinatore - da noi non sono mai venuti”. E così si sprecano i casi in cui nei centri profughi si fa fatica a trovare anche un solo operatore, con i migranti abbandonati a loro stessi e senza alcuna attività da fare. In barba ai contratti e ai progetti di integrazione presentati in Prefettura. Tanto nessuno verifica.

Non tutte le coop lo fanno, ma per i furbi l’affare diventa immediatamente remunerativo. Anche se le prestazioni non vengono erogate, infatti, lo Stato paga comunque. Per risparmiare ancora basta ridurre il personale: su Youtube una giovane spiegava di essere stata assunta come operatrice legale, ma "nella cooperativa svolgo qualsiasi mansione, dalla distribuzione dei pasti alla pulizia dello stabile". E così se lo psicologo fa anche il lavoro dell’assistente sociale e il mediatore culturale si occupa pure del supporto legale, in cassa rimangono altri 136 euro al giorno. Un tesoretto in mano alle coop.

Il conto finale è da capogiro. Nella struttura di accoglienza da 16 persone, lesinando su pasti e operatori, si comincia a guadagnare già dal secondo profugo accolto. Quella da 50 ospiti è una miniera d’oro. Dei circa 34,5 euro al giorno a migrante pagati dallo Stato, possono rimanere in tasca alle cooperative (e agli albergatori) tra i 6 e gli 8 euro al giorno a immigrato. Che moltiplicati per 50 persone significano tra i 300 e i 400 euro al giorno.

Ovvero 10mila euro al mese di profitto. E se si considera che molte coop, hotel e Srl arrivano a gestire anche 300 richiedenti asilo, il guadagno può arrivare a 60mila euro al mese. Cioè 720mila euro all'anno. Un business da nababbi.

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