Il miracolo politico di San Wojtyla: fermare il comunismo

San Giovanni Paolo II moriva nel 2005. Il miracolo politico nell’Est Europa: innescare la resistenza al comunismo che portò alla caduta del Muro

Il miracolo politico di San Wojtyla: fermare il comunismo
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Non aver paura di spalancare le porte a Cristo, di aprire i confini degli Stati, i sistemi politici così come quelli economici. Era il 1978 quando Giovanni Paolo II, appena eletto, chiese al mondo, con queste parole, di ritrovare il coraggio. Il coraggio di alzare la testa, di professare la propria fede, di dirsi e sentirsi cristiani in un Occidente sempre più in crisi.

Ancora oggi, a vent'anni dalla morte, era il 2 aprile del 2005, il messaggio di Wojtyla rimane più che mai attuale. Ma quello di allora era un mondo che doveva fare i conti con un nemico pericoloso che, soprattutto in quell'Europa dell'Est, grazie all'arma della propaganda, strappava senza pietà ogni speranza di libertà dal cuore degli uomini. Per oltre dieci anni, durante il suo pontificato, Karol Wojtyla si era dovuto misurare con il comunismo, ma non si era nascosto, non aveva taciuto: con i viaggi e con le parole, pronunciate soprattutto nella sua Polonia, aveva dato ai suoi connazionali la forza di reagire pacificamente,

Era un'umanità ferita quella che stava ascoltando le parole del Papa polacco, era un mondo che doveva fare i conti con un nemico pericoloso che, soprattutto in quell'Europa dell'Est, grazie all'arma della propaganda, strappava senza pietà ogni speranza di libertà dal cuore degli uomini. Per oltre dieci anni, durante il suo pontificato, Karol Wojtyla si era dovuto misurare con il comunismo, ma non si era nascosto, non aveva taciuto: con i viaggi e con le parole, pronunciate soprattutto nella sua Polonia, aveva dato ai suoi connazionali la forza di reagire pacificamente, innescando un meccanismo culminato nella caduta del Muro di Berlino. Come reagire a quel nemico? Per Giovanni Paolo II non servivano le armi o la violenza, lo spiega bene Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e biografo di Wojtyla: «Giovanni Paolo II», scrive lo storico, «era convinto che il cristianesimo rappresentasse una forza di liberazione dell'uomo e dei popoli: il cristianesimo poteva giungere a trasformare in qualche modo la storia delle nazioni. Questa è stata anche la vicenda della liberazione della Polonia dal comunismo, in cui il Papa ha giocato un ruolo di primo piano».

Che Giovanni Paolo II sia stato uno dei protagonisti del crollo del comunismo è innegabile: per destabilizzare i sistemi totalitari dell'Est era bastata la sua elezione a Papa. A questo si aggiunse il suo magistero e tutti i processi avviati in Polonia con la nascita del movimento Solidarnoç. «La Provvidenza Divina guida le sorti dei popoli e delle nazioni» aveva ripetuto più volte il Papa santo e come ha ricordato anche il suo segretario particolare, il cardinale Stanislaw Dziwisz, «dopo l'attentato del 1981 e la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, le cose iniziarono a cambiare, si avviò un processo che portò alla libertà degli oppressi dal comunismo». Va considerato anche che fin dall'inizio del pontificato, oltre alla preghiera incessante, Wojtyla lavorò dietro le quinte per sostenere gli oppositori del regime; non è più un mistero che dal Vaticano partivano cospicue donazioni e aiuti materiali per il sindacato polacco che stava iniziando a organizzarsi. Il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia, nel 1979, fu decisivo: il popolo era unito nell'ascoltare la voce di quell'illustre connazionale che chiedeva con ancora più vigore di non aver paura di smuovere le acque. I polacchi erano diventati un unico cuore che pregava e, come ha spiegato a Il Giornale il fondatore di Solidarnoç Lech Walesa, «grazie al Papa capimmo che eravamo molti, ci rese consapevoli che avremmo potuto avere una chance di cambiare il mondo e le nostre vite. La preghiera comune con il Papa si trasformò in coraggio e iniziammo a lavorare spinti da quel vento del cambiamento che stava soffiando sull'Est». Non ci furono spargimenti di sangue, la rivoluzione fu pacifica, la guerra civile fu scongiurata e iniziò quel cammino che portò allo sgretolamento del comunismo. Wojtyla non fu, però, l'unico protagonista: insieme a Lech Walesa che guidò il sindacato cattolico, gli storici considerano Michail Gorbacëv, all'epoca segretario generale del Partito Comunista dell'URSS, una figura fondamentale per l'avvio dei processi che portarono alla dissoluzione pacifica del regime.

Lo stesso Wojtyla la pensava più o meno così; nel libro-intervista del 1994 Varcare le soglie della speranza con Vittorio Messori, disse: «Il comunismo come sistema, è, in un certo senso, caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa, e, all'atto pratico, più dannosa della malattia stessa. È caduto da solo, per la propria immanente debolezza».

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