"La missione della Chiesa". Ratzinger torna a parlare

Con una lettera indirizzata negli Stati Uniti, il pontefice emerito ha ricordato il suo lavoro ecclesiologico e le novità portate dal Concilio Vaticano II

"La missione della Chiesa". Ratzinger torna a parlare
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"Il Signore mi chiama a salire sul monte, ma questo non significa abbandonare la Chiesa". Lo aveva detto nell'ultimo Angelus del suo pontificato e Benedetto XVI è rimasto di parola, non facendo mancare la sua voce in questo quasi decennio successivo alla sua storica rinuncia. Lo ha fatto soprattutto con la preghiera e la meditazione, ma anche con scritti e lettere che hanno indicato la retta via ai fedeli di tutto il mondo e sono state di supporto al magistero del pontefice regnante, Francesco.

Pochi giorni fa la voce del papa emerito è tornata a farsi sentire attraverso una lettera datata 7 ottobre e resa pubblica in occasione del X simposio internazionale promosso dalla Fondazione Vaticana a lui intitolata. Il convegno si è tenuto sul tema “L’ecclesiologia di Joseph Ratzinger” ed è stato ospitato negli Usa dalla Franciscan University di Steubenville, in Ohio. Non a caso, Ratzinger si è rivolto direttamente al presidente dell'istituto, padre Dave Pivonka nella lettera letta pubblicamente da padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala Stampa della Santa Sede e attualmente presidente della Fondazione.

Prendendo carta e penna a ridosso del sessantesimo anniversario della sua apertura, Ratzinger ha proposto alcuni ricordi personali sul Concilio Vaticano II a cui partecipò come perito dell'arcivescovo di Colonia, il cardinale Josef Frings. "Quando ho iniziato a studiare teologia nel gennaio 1946 - ha scritto Benedetto XVI - nessuno pensava a un Concilio ecumenico. Quando papa Giovanni XXIII lo annunciò, con sorpresa di tutti, c'erano tanti dubbi sul fatto che potesse essere significativo, addirittura se potesse essere possibile organizzare gli spunti e le domande nell'insieme di una dichiarazione conciliare e dare così alla Chiesa una direzione per il suo ulteriore cammino".

Per Ratzinger, però, quel nuovo Concilio si è rivelato nel corso degli anni "non solo significativo, ma necessario" perché per la prima volta si rese evidenti alcune questioni dirimenti intorno alla vita della Chiesa. Il pontefice emerito ricorda come si fosse posto per la prima volta la questione di una teologia delle religioni, così come per la prima volta ci si era posti il tema poi evoluto negli anni anche durante lo stesso pontificato del tedesco: il rapporto tra la fede "e il mondo della pura ragione". Sono note le resistenze che incontrò Giovanni XXIII per quell'iniziativa. Secondo il papa emerito si dovette proprio a questo fattore inedito, perché entrambi i temi non erano nemmeno stati previsti. Motivo per il quale, secondo Benedetto XVI, il Concilio Vaticano II venne percepito come un elemento che potesse "turbare e scuotere la Chiesa più che darle nuova chiarezza per la sua missione".

Nel Vaticano II, dunque, trovò coronamento l'ecclesiologia nel senso propriamente teologico che Ratzinger propugnava già da prima e che poneva l'accento sulla centralità dell'Eucarestia anziché su una visione troppo clericale e centralistica. Aprendo il bagaglio dei ricordi, il papa emerito ha raccontato, a questo proposito, come il suo stesso lavoro ecclesiologico sia stato segnato dalla condizione della Chiesa tedesca negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, in cui l'ecclesiologia vedeva uno sviluppo con "la più ampia dimensione spirituale del concetto di Chiesa ora percepita con gioia". In questa chiave, Ratzinger non può che citare uno dei suoi "maestri", quel Romano Guardini per il quale l'essenza del cristianesimo non è un'idea ma una Persona (Cristo). Il teologo tedesco di origine italiana è stato più volte citato anche da Francesco, che è suo grande estimatore.

Lodando l'avvento dell'ecclesiologia di comunione proposta dal magistero dell'assise voluta da Roncalli, Ratzinger ha scritto nella lettera che è stato proprio all'interno del Concilio Vaticano II che la questione più importante, quella della Chiesa nel mondo, "è diventata finalmente il vero problema centrale". E ripercorrendo poi tutte le tappe del suo magistero, Benedetto XVI ha voluto mettere in guardia dalla "completa spiritualizzazione del concetto di Chiesa" che "manca di realismo della fede e delle sue istituzioni nel mondo".

Con queste parole, Benedetto XVI ha augurato buon lavoro ai relatori del simposio nella speranza che possa essere "d'aiuto nella lotta per una giusta comprensione della Chiesa e del mondo nel nostro tempo". Dal monte in cui è salito quasi dieci anni fa, l'ormai novantacinquenne papa emerito continua a non abbandonare la Chiesa, così come aveva promesso in quell'ultimo Angelus a piazza San Pietro del 24 febbraio 2013.

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