La musica come terapia: perché i malati di Alzheimer ricordano le canzoni

I circuiti emotivi del cervello salvano alcune canzoni dall'Alzheimer. Le cure possibili

La musica come terapia: perché i malati di Alzheimer ricordano le canzoni

Ogni santo giorno dimentichiamo molte cose: dove abbiamo messo le chiavi dell'auto, cosa abbiamo mangiato la sera prima. Ma alle prime note musicali di una canzone non solo la riconosciamo immediatamente, anche se non l'avevamo più ascoltata da molti anni, ma ricordiamo alla perfezione la melodia e il testo dall'inizio alla fine.

La musica, infatti, ha da sempre un posto privilegiato nella nostra memoria, nella cui impalcatura neuronale resta impressa in eterno insieme alle parole, al ritmo e al suono degli strumenti, e basta rievocarne un brano per farla riemergere dai meandri più nascosti della nostra mente. Come mai questa «corsia preferenziale»?

Uno dei motivi principali di questa memoria permanente è che la musica è fondamentalmente emotiva, ed i suoi contorni melodici, la densità delle sensazioni che trasmette, anche quando si è distratti da altro, restano impressi nelle cellule mnemoniche, poiché gli stimoli emozionali e sonori sono quelli che si riconoscono all'istante. Il potente legame tra musica e memoria è stato studiato ed analizzato da tutti i neuroscienziati del mondo, per cercare di comprendere come fosse possibile richiamare alla mente, allo stesso modo della musica, tutti i ricordi che invece vengono dimenticati o addirittura cancellati nei malati affetti da patologie neurodegenerative, nonostante essi siano impressi nelle stesse zone cerebrali di quelle della musica.

Molte ricerche si stanno orientando proprio sugli stimoli sonori melodici in grado di attivare più aree encefaliche distinte tra loro, poiché è stato accertato che i messaggi emotivi musicali sono in grado di risvegliare sia l'attenzione, che l'integrazione senso-motoria e la memorizzazione.

Lo studio della musica nel campo delle neuroscienze, infatti, è stato incoraggiato dal fatto che i pazienti con malattie neurovegetative gravi, come le varie demenze e l'Alzheimer in stadi molto avanzati, quelli cioè con patologie poli-invasive e distruttive del cervello che non permettono al paziente nemmeno di riconoscere i propri figli, erano invece in grado di ricordare melodie familiari, e l'ascolto di quel suono facilitava non solo il richiamo di alcune emozioni della sfera espressivo-comunicativo-relazionale, ma era in grado di attivare il sistema dopaminergico della gratificazione, considerato uno strumento fondamentale per la riabilitazione e il recepimento dei segnali dall'ambiente esterno.

In pratica è stato accertato dai medici che le musiche più conosciute, quelle impresse nella memoria autobiografica, tendono ad essere accessibili anche nelle fasi avanzate della malattia neurodegenerativa, persino quando il grado di atrofia dei lobi cerebrali appare seriamente compromesso agli esami radiologici.

Nell'indebolimento della elaborazione razionale ed emozionale dei pazienti dementi, con prestazioni deficitarie in tutte le competenze, quelle con connotazione emotiva, come gli stimoli musicali, venivano immediatamente riconosciute e riattivate.

Le persone affette da Alzheimer o da altre forme di demenza, nel decorso della malattia precipitano più o meno rapidamente in un mondo sconosciuto nel quale la memoria linguistica e visiva vengono velocemente danneggiate, causando loro disorientamento ed ansia, e con il progredire della patologia questi pazienti perdono letteralmente il contatto con la realtà che li circonda.

Anche nelle fasi iniziali ed ancora silenti delle demenze, quando i malati hanno però già difficoltà a trovare le parole giuste da usare per comunicare, sono invece capaci di cantare una canzone per intero senza problemi.

Ed è ancora un mistero per la scienza capire perché le zone cerebrali responsabili di tale tipo di memoria vengano risparmiate dalla malattia e perché la musica abbia questo importante effetto di psico-stimolazione e mnesico in grado di coinvolgere anche altri sensi come la vista e l'udito.

Nella storia della musica si racconta che il compositore Ravel scrisse il magnifico Bolero mentre era ormai in fase di avanzata demenza, e lo compose come una ripetizione ossessiva in aumento, come fosse un mantra della sua patologia progressiva, che poi divenne invece il suo punto di più alta fascinazione.

Per non parlare di Nietzsche, anche lui divorato dalla demenza, che suonava il pianoforte piangendo e producendo musica eccellente, senza spartito, estrapolata dalle sue condizione mentali, conservando intatte competenze fondamentali quali l'intonazione, la sincronia ritmica e la tonalità, mentre lontano dalla musica mostrava inesorabilmente tutti i disturbi del comportamento derivato dal deterioramento cognitivo causa della sua malattia. La musica, infatti, sembra effettivamente attivare il cervello generando comunicazione tra intere aree encefaliche, mostrando una connettività funzionale elevata rispetto ai limiti cognitivi, ai deficit di memoria e di apprendimento imposti e derivanti dalle demenze.

In un'epoca in cui sono stati sintetizzati farmaci straordinari per sconfiggere le patologie più crudeli, come ad esempio il cancro, non esiste ancora una molecola specifica per curare nessuna delle demenze e l'Alzheimer, e può sembrare sorprendente o grottesco ricorrere alla musico-terapia per mantenere o sostenere la degenerazione cerebrale come un lavoro riabilitativo e di stimolazione cognitiva.

Nessuno scienziato si spinge ad affermare che la musica sia al pari di una cura, ma di certo le melodie aiutano a rendere i sintomi delle malattie neuro-degenerative più gestibili.

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