La Nazionale di Conte? Specchio dell'Italia che rinnega i leader

Un saggio del sociologo Marco Revelli “Dentro e contro” racconta il rancore degli italiani contro tutto ciò che viene avvertito come potere, non solo a livello politico, ma anche economico, burocratico, sportivo

La Nazionale di Conte? Specchio dell'Italia che rinnega i leader

Questa nazionale potrebbe entrare nel cuore degli italiani. Infatti nel Paese tira un’aria contraria ai leader, ai capi, alle istituzioni, a chi comanda, chiunque esso sia. Infatti, ad esempio, anche chi governa si affanna a presentarsi come estraneo alla politica o comunque distante dalla stessa, vedi il presidente del Consiglio Matteo Renzi che presenta l’Italicum come le forbici giustiziere sui costi della macchina statale, parlamento in testa. Ma anche i candidati a sindaco di diverse città tendono a presentarsi come persone che nella vita si occupano di altro. “Politico a me? Come ti permetti?” si sente spesso gridare nei sempre più rari e usurati talk-show. A Milano e a Napoli questo fenomeno è evidente nella campagna elettorale per le elezioni comunali.

Un saggio del sociologo Marco Revelli “Dentro e contro” racconta in profondità questo rancore degli italiani contro tutto ciò che viene avvertito come potere, non solo a livello politico, ma anche economico, burocratico, sportivo.

Proprio per questo la nazionale di calcio guidata da mister Antonio Conte può essere il nuovo oggetto dei desideri degli italiani. E se non la più amata dagli italiani, certo occupare un posto nella galleria storica del pallone. Il giorno dopo l’esordio vincente degli azzurri contro il Belgio si sentiva più d’uno dire, tra bar e metropolitana: “Mi piace questo gruppo senza leader! Ragazzi semplici, che lavorano!”. Stiamo parlando logicamente di emozioni, di sensazioni, di ragioni del cuore che magari la ragione calcistica non riconoscerebbe mai. Questa è una nazionale senza leader in campo e con un sergente di ferro in panchina. Cioè rappresenta in qualche modo l’Italia come oggi la vorrebbero molti italiani.

Sembrano passati secoli dagli Europei del 2012, quelli in Polonia e Ucraina. L’immagine di quel torneo, che perdemmo in finale contro la Spagna “galattica”, resta la star Mario Balotelli che si toglie la maglietta e mostra i pettorali dopo aver steso la Germania a Varsavia (nemesi storica). Oppure del rigore a cucchiaio di Andrea Pirlo che fa impazzire l’insolente portiere degli inglesi, Hart. Stiamo parlando di Pirlo, l’eroe che tinse d’azzurro il cielo di Berlino e ci portò assieme agli altri eroi sul tetto del mondo. Era l’estate (l’unica, per fortuna) del governo tecnico di Mario Monti, e comunque i cittadini ancora volevano una leadership forte per vincere ai rigori e superare una devastante crisi economica.

Volendo tornare indietro nel tempo, agli Europei del 2000, forse una delle nazionali più belle della storia, quella di Dino Zoff, punita dal francese Wiltord all’ultimo secondo di una finale crudele e subito dopo dal golden gol di Trezeguet. Quella era la nazionale delle stelle: Del Piero, Totti, Maldini, Cannavaro, Inzaghi, Nesta, Ferrara tanto per fare qualche nome. In Olanda e Belgio Zoff mise in campo una squadra bella, elegante, spumeggiante. Le vincemmo tutte, e anche quella maledetta sera a Rotterdam avevamo già più di una mano sulla coppa, ma i francesi ci ruppero le uova nel paniere. Anni rampanti della seconda Repubblica quelli, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema e Gianfranco Fini. Anni di maggioritario, di leadership forti, della politica “o di qua, o di là”.

Oggi anche Gigi Buffon, quello che a Berlino nel 2006 fece piangere Zidane strozzandogli in gola l’urlo di un gol che sembrava praticamente fatto, sembra non si dica un esordiente ma comunque un giocatore qualsiasi, che festeggiando appeso alla traversa cade pure come nemmeno alla partita del giovedì scapoli contro ammogliati.

E il mister Conte che festeggiando il gol di Giaccherini sbatte contro il capoccione di Zaza e si fa male al naso, con uscita di sangue? Uno di noi!

Giaccherini, Parolo, Darmian, Pellè: questi ragazzi sono perfetti per l’Italia del 2016. che non vuole, non accetta e non riconosce leader. Ma chiede e pretende persone normali.

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