N on c'è regione o provincia risparmiata, mentre il bollettino dei contagi nazionale continua inesorabile la conta a sei cifre. Resiste un'unica isola felice, un luogo virtuale dove risuona il tormentone «non ce n'è coviddi»: è l'app Immuni. Sul sito del software di tracciamento un tabellone si aggiorna pigramente giorno dopo giorno. Al 17 di dicembre l'app ha superato quota dieci milioni di download, cioè, contando pure i neonati per semplicità, un italiano su sei ce l'ha sullo smartphone. I contagi rilevati invece sono appena 6.489. Alla stessa data, i dati ufficiali della Protezione civile registrano circa 635.000 contagiati: l'app scaricata da un italiano su sei intercetta la miseria di un contagio su cento.
Sullo stesso sito un grafico mostra l'andamento dei download in modo un po' furbetto, disegnando gli assi cartesiani in modo da mostrare un ritmo continuo di scaricamento dell'app. In realtà gli sforzi pubblicitari del governo tentati ancora qualche settimana fa sono diventati impercettibili e il ritmo dei download, sebbene non azzerato, procede decisamente a rilento.
L'aspetto più incredibile del flop di Immuni, che nessuno ormai prova neanche a negare, è che i problemi tecnici più stringenti e più temuti sono stati man mano risolti. Il ministro dell'Innovazione Paola Pisano, in pieno stile Conte, ha ignorato l'apposita task force e ha sostanzialmente deciso. Tutto sommato è andata meglio degli altri tentativi di digitalizzazione del governo che, dai vari clic day alla falsa partenza del cashback, hanno accumulato figure poco edificanti.
Immuni dal punto di vista tecnologico invece sostanzialmente funziona, anche se non gira su cellulari datati e questo restringe la platea dei potenziali utenti, e dà qualche problema di notifica sui cellulari più aggiornati. La società cui è stato affidato il design dell'app, Bending Spoons, d'accordo con il governo, ha giustamente condiviso il codice di programmazione con la comunità degli sviluppatori di software. «Il limite tecnico - commenta Luca Bolognini, presidente dell'Istituto italiano privacy - è la scelta del Bluetooth low energy». Un sistema di comunicazione, spiega che «ha il difetto di generare molti falsi positivi sulle distanze tra un utente e l'altro».
Anche lo spauracchio della privacy, che soprattutto all'inizio è diventato il primo freno alla diffusione dell'uso dell'app, è in realtà stato risolto in collaborazione con il Garante. «Perfino troppo», chiosa Luca Bolognini. In ogni caso, la scelta molto discussa di non usare invasive funzioni di geolocalizzazione e di anonimizzare i dati degli utenti è un compromesso tra le esigenze democratiche e quelle di lotta al Covid cui si è arrivato dopo un dibattito aperto.
E allora come si arriva al misero risultato di 6.500 contagi rilevati? «Non ha funzionato il raccordo tra chi nel governo ha pensato e progettato l'app e il comparto che gestiva l'emergenza sanitaria - dice Alessandro Longo, direttore di AgendaDigitale.eu -. La prova è che a ottobre un decreto imponeva qualcosa che tendenzialmente non veniva fatto, ossia la gestione degli utenti Immuni positivi al virus da parte dei sanitari per l'alert ai loro contatti stretti. Anche in altri Paesi è andata male, ma bisognava provarci, almeno servirà per il futuro».
Una cosa è certa: i download non sono stati poi così pochi e non sono affatto il primo degli ostacoli che hanno bloccato l'app.
Eppure il governo ha alimentato questa vulgata secondo il metodo del capro espiatorio di massa ormai consolidato nel corso di questa pandemia: accusare l'indisciplina dei cittadini, dai runner a chi non scarica l'app, per coprire le proprie carenze politiche e organizzative.
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